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Identità tra confronto e scontro. Una settimana a Gerusalemme

Dopo tre mesi nel Paese del gallo, è arrivato il momento di una vacanza anche per Domenica, che ha scelto la città mediorientale

Cambiare paese è anche immergersi in una comunità nuova, scoprire i sentimenti che la connotano. E fare i conti non solo con una lingua diversa ma con modi di essere, identità che spesso all’interno della comunità stessa confliggono tra loro.

Se c’è una città che il senso di identità lo esprime all’eccesso, nella quale si confrontano e si scontrano storie, tradizioni, fedi religiose, sedimentatesi nei secoli, questa città è Gerusalemme. Ho trascorso una settimana in Israele e la prima tappa è stata la Città Santa.

Anche io, infatti, sono andata in vacanza, dopo tre mesi nel paese del Gallo. Non potevo scegliere un miglior posto, per quello che mi ha trasmesso, mi ha fatto vivere e lasciato per sempre.

Gerusalemme è una città a due facce, nel suo nome si sono combattute crociate e guerre. In poche centinaia di metri si racchiudono i tre luoghi sacri delle tre grandi religioni monoteiste. Ma dove la Pace non trova terreno.

L’impatto è stato emozionante: un crepuscolo rosa ha illuminato le antiche mura di Gerusalemme rendendo la città ancora più luminosa, le pietre bianche rendono Gerusalemme molto suggestiva. La porta di Damasco è la più imponente. La sua bellezza è folgorante anche di sera.

Sembra non voler spegnersi mai. Da qualunque punto d’osservazione la si guardi, politico, culturale, religioso, Gerusalemme è lo specchio del mondo. Un mondo che non trova pace e tanto meno giustizia. Esplorandola si colgono gli umori della gente, si incrociano gli sguardi e, attraversando i diversi quartieri, si respira un clima che è, assieme, di dolore e di speranza. Ecco: Gerusalemme è una città di passioni.

Tutto in questa città sembra rimandare a una visione assolutistica che non sembra conoscere né concedere l’esistenza di aree grigie, di incontri a metà strada tra le rispettive ragioni. I luoghi santi che in essa si concentrano dovrebbero ispirare sentimenti di conciliazione, di rispetto verso l’altro. Dovrebbero. Perché Gerusalemme, per quel poco o tanto che ho potuto conoscere, vedere, ascoltare, più che Città della riconciliazione resta Città contesa, nel cui vocabolario non esiste la parola “compromesso”.

Mi auguro che un giorno non lontano le cose cambino. Che la normalità prenda corpo anche in questa Città-mondo e che le sue meravigliose pietre riflettano al tramonto il rosa della speranza e non il rosso del sangue che per Gerusalemme è stato versato.

Domenica Canchano

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