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Quando la religione è strumentalizzata dalla discriminazione: il caso del comune di Pontoglio

Le tradizioni religiose non possono essere strumentalizzate per discriminare: condannato il comune di Pontoglio

A cura di ASGI

Con l’ordinanza di ieri, il Tribunale di Brescia ha dichiarato il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dal Comune di Pontoglio che, con deliberazione del 30 novembre 2015, aveva disposto il posizionamento ai vari ingressi del paese di cartelli a sfondo marrone recanti la scritta «Pontoglio è un paese a cultura occidentale di profonda tradizione cristiana, chi non intende rispettare la cultura e le tradizioni locali è invitato ad andarsene».

«Il punto non è se tale proposizione corrisponda o meno al vero – si legge nell’ordinanza -, la questione è che detto stato di cose  non può essere strumentalizzato da un ente pubblico per ostacolare o condizionare, foss’anche nella semplice forma della persuasione, il libero esercizio dei diritti costituzionali da parte di coloro che non si riconoscono nel substrato culturale del Comune». Lo Stato italiano, come viene ricordato nell’ordinanza, non è confessionale bensì «improntato al principio di laicità (articolo 19 Costituzione)» e «ragioni di razza e religione non possono pregiudicare l’eguale godimento dei diritti fondamentali dell’individuo (art 3 Costituzione), fra i quali figura quello della libertà di circolazione e soggiorno (articolo 16 Costituzione). «Se l’obiettivo del comune fosse stato quello di richiamare i residenti ad una forma di rispetto reciproco delle rispettive tradizioni e credenze religiose, i cartelli di certo non avrebbero avuto il contenuto, unilaterale, oggi censurato», conclude il giudice. Ne deriva che le tradizioni religiose non possono essere strumentalizzate dalla pubblica amministrazione per discriminare e che il principio supremo di laicità impone condizioni di parità e rispetto reciproco per favorire l’inclusione e la convivenza tra persone di fedi religiose differenti.

Il giorno precedente all’udienza di precisazione delle conclusioni, il comune aveva rimosso tutta la cartellonistica stradale presente sul territorio (non limitatamente ai cartelli discriminatori). Il giudice ha comunque accertato, come stabilito dall’art 7 della Direttiva 2000/43, il carattere discriminatorio del comportamento tenuto, precisando che “il ripristino della situazione fisiologica – nessun cartello con messaggi estranei ai contenuti tipici previsti dal codice della strada – è la migliore risposta alla precedente situazione di discriminazione”.

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