Migranti, vademecum antirazzista. I commenti “cattivisti” smontati uno per uno
A cura di Valigia Blu, articolo in partnership con i quotidiani locali del gruppo Espresso
Ha collaborato Andrea Zitelli
- “C’è un’invasione”. Dall’inizio del 2015, secondo i dati dell’Unhcr, sono sbarcate in Italia 121mila persone (di cui il 78% uomini, il 12% donne e il 10% bambini). Una cifra che corrisponde allo 0,2% della popolazione italiana. Mario Morcone, capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, intervistato da Redattore sociale, ha spiegato che, proprio basandosi su questi numeri, parlare di emergenza o invasione è sbagliato, aggiungendo inoltre: Per quanto riguarda gli arrivi i numeri sono esattamente gli stessi dell’anno scorso, ci saranno mille, duemila persone in più, quindi probabilmente arriveremo a fine anno con un bilancio di circa 180mila, 170mila persone sbarcate,
in linea con la pianificazione che come ministero avevamo già fatto. Altro dato da considerare è che gran parte delle persone arrivate in Italia non resta ma continua il proprio viaggio (anche dentro le maglie delle organizzazioni di trafficanti di essere umani) verso il Nord-Europa. Nel 2014, su 170mila arrivi, solo in 66mila hanno fatto richiesta di asilo. Attualmente in Italia, nei centri di accoglienza, ha spiegato il ministro dell’Interno, «ci sono 95mila migranti», cioè lo 0,16% della popolazione italiana. Comparando, inoltre, le richieste accettate dallo Stato italiano con quelle degli altri paesi Europei e nel mondo, l’Unhcr specifica che «il numero di rifugiati accolti dall’Italia rimane modesto». Nel vecchio continente nel 2014 si è registrata la quota record di 626mila richieste d’asilo, ma il nostro paese in media, scrive l’agenzia delle Nazioni Unite, «accoglie un rifugiato ogni mille persone, ben al di sotto della Svezia, con più di 11 rifugiati ogni mille, la Francia (3,5 ogni mille) e della media europea (1,2 ogni mille). In Medio Oriente, il Libano, al confine con la Siria, accoglie circa 1,2 milioni di rifugiati, pari a un quarto della popolazione del paese». A livello mondiale l’86% dei rifugiati del mondo trova accoglienza nei paesi vicini a quelli di fuga. Come sottolinea l’ultimo rapporto sulla protezione internazionale del 2014 – di Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo per rifugiati), Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani), UNHCR, Caritas e fondazione Migrantes –, Pakistan, Etiopia, Sud Sudan e Kenya hanno da soli provveduto a dare asilo a 2,8 milioni di rifugiati, corrispondenti al 24% del totale mondiale, mentre in Europa arriva meno del 10% dei richiedenti asilo. Scrive, inoltre, Davide Mancino su Wired che «i dati dell’ultimo rapporto sulle migrazioni internazionali dell’OCSE, aggiornati al 2012, mostrano che in Italia la percentuale di stranieri è al 9,4% – più bassa che in Francia o nel Regno Unito, e molto inferiore a Germania e Spagna».
- “Prendono 40 euro al giorno”. Questi soldi non vanno in tasca ai migranti, ma rappresentano i costi giornalieri (vitto, alloggio, pulizia dello stabile e manutenzione) di gestione per persona sostenuti da quelle organizzazioni di cui i comuni – che partecipano al bando Sprar (Sistema di protezione e accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo) – si avvalgono per la gestione dell’accoglienza. Come previsto dall’ultimo bando 2014/2016, gli enti locali hanno l’obbligo di presentare un piano finanziario che deve essere approvato da una commissione formata da rappresentanti di enti locali (Comuni, Province e Regioni), del ministero dell’Interno e dell’Unhcr. Le spese di gestione per migrante, valutate in media intorno ai 35 euro pro capite pro die, possono subire delle variazioni da regione a regione, secondo il costo della vita locale e dell’affitto delle strutture. Una piccola quota copre anche i progetti di inserimento lavorativo. Ai richiedenti asilo viene corrisposto direttamente il cosiddetto pocket money (pari a 2,5 euro giornaliere), utilizzato per le piccole spese quotidiane. Soldi che restano nei Comuni e tornano sul territorio, spiega Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale Sprar, intervistata da Internazionale: «Se togliamo i 2,5 euro circa di pocket money, restano più di 32 euro (il 92 per cento del totale) a migrante che servono, prima di tutto, per coprire la spesa del personale: cioè per pagare gli stipendi, i contributi e i contratti degli operatori che lavorano nei centri, e che sono soprattutto giovani italiani. Una parte è spesa per l’alloggio e per il mantenimento delle strutture, che alcune volte sono di proprietà dei comuni e vengono ristrutturate e altre volte sono prese in affitto da privati della zona. Infine, una parte serve a pagare i fornitori, da quelli di generi alimentari alle farmacie fino alle cartolerie». Inoltre, aggiunge Di Capua, «nel caso dello Sprar sono 400 circa i comuni direttamente coinvolti nei progetti, ma secondo i nostri calcoli a beneficiarne sono almeno il triplo, cioè oltre mille. Questo perché spesso gli enti territoriali fanno accordi con comuni limitrofi per gestire meglio l’accoglienza. Stiamo portando avanti un monitoraggio proprio su questo e dai primi risultati emerge che il flusso finanziario ha un impatto positivo su un territorio ampio».
- “Dormono in hotel di lusso”. I migranti giunti in Italia non dormono in hotel a 5 stelle con piscina, ma, in attesa che la loro richiesta d’asilo venga esaminata, alloggiano in alberghi, b&b o appartamenti affittati ad hoc. Si tratta di strutture ricettive di solito non propriamente dedicate all’accoglienza, utilizzate dai prefetti come Centri per l’Accoglienza Straordinaria (Cas) in situazione di carenza di posti nei Centri d’Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara). I gestori di tali strutture firmano una convenzione con la prefettura locale, che li impegna a dare assistenza a richiedenti asilo e minori non accompagnati con un compenso giornaliero di 30/35 euro per ciascuna persona ospitata. Le condizioni di soggiorno non sono così ottimali come si potrebbe immaginare quando si pensa a un albergo. Spesso si fa ricorso a sistemazioni di fortuna prive delle adeguate strutture igieniche e di sicurezza. Come a Castelfiorentino, dove 36 persone sono state ospitate in una casa colonica fatiscente, lontano dal centro abitato e in aperta campagna. O a Ragusa, dove le brandine per gli ospiti sono state collocate sulle piste da ballo di un night club in disuso. O a Portogruaro, dove è stata utilizzata una palestra scolastica, diventata vivibile grazie all’impegno di volontari di una cooperativa sociale, giovani e anziani. Anche i servizi forniti molto spesso sono carenti. Le persone ospitate in queste strutture non hanno bisogno solo di assistenza sanitaria, ma anche psicologica e legale, e chi lavora nei centri, spesso, non ha le competenze per garantire tale supporto. D’altronde, lo schema di convenzione indica solo dei requisiti logistici minimi da soddisfare e non è raro che gli unici operatori presenti siano quelli addetti all’erogazione dei pasti e alla sorveglianza notturna delle strutture. Con la diffusione a macchia di leopardo di questi luoghi, il controllo capillare appare difficilissimo da garantire. Tuttavia, come ha affermato in una recente intervista il capo dipartimento immigrazione del ministero dell’Interno, Mario Morcone: «prefetture, agenzie internazionali e ministero stanno cercando di adottare nuovi strumenti per migliorare il monitoraggio e verificare inefficienze ed eventuali situazioni di illegalità». Più che le condizioni lussuose di soggiorno dei migranti, gli alberghi e gli altri centri di accoglienza straordinaria testimoniano le criticità del nostro sistema d’accoglienza, una cipolla a più strati, dove la straordinarietà di situazioni e strutture diventa ordinarietà, l’emergenza si fa strutturale. Infine, un migrante, se richiedente asilo o titolare di una protezione internazionale, può finire in un centro Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), e partecipare a uno dei progetti di accoglienza integrata sul territorio. A differenza dei Cas, gli Sprar non si limitano a dare vitto e alloggio, ma cercano di coniugare le esigenze della comunità locale con i bisogni dei richiedenti asilo, attraverso l’utilizzo di personale altamente qualificato.
- “Hanno pure il telefonino quindi non sono poveri”.
Quest’affermazione si fonda su un corto circuito cognitivo: un migrante (associato alla figura della persona sul barcone senza nulla) non può possedere un oggetto come uno smartphone (associato alla categoria dei beni di lusso, simbolo delle tecnologie più avanzate). Invece, come spiega il New York Times, gli smartphone sono beni di prima necessità per chi fugge da guerra e fame, si sposta tra paesi e continenti diversi e deve geolocalizzarsi per capire dov’è: «Ogni volta che vado in un Paese nuovo – dice Osama Aljasem, docente di musica trentaduenne proveniente dalla Siria – compro una scheda sim, attivo internet e scarico le mappe per localizzare dove mi trovo». La richiesta di una connessione wifi non è un capriccio di un rifugiato viziato. È la via per comunicazioni più lunghe e meno costose con i familiari che sono lontani, come testimoniato dal progetto “Welcome Taranto”, realtà impegnata in Puglia nell’assistenza agli immigrati e che, dotandosi di una rete wifi, ha consentito ai migranti di potersi connettere con i loro parenti: «Ci è bastato chiedere: “di cosa avete bisogno?” – racconta su Chefuturo! uno degli ideatori dell’iniziativa – per capire che l’accoglienza non è solo un pasto caldo. Abbiamo fatto un’assemblea con i migranti e tra le varie esigenze, quella più concreta emersa con forza era proprio la possibilità di collegarsi a internet». La tecnologia mobile ha un ruolo sempre più importante: consente comunicazioni satellitari durante le migrazioni per condividere rotte, informazioni su eventuali pericoli, notizie di arresti e movimenti delle guardie di frontiera, consigli sui luoghi migliori dove poter soggiornare e per parlare con i propri cari di rotta in rotta. Vengono usati anche per monitorare passaggi di denaro e per trasferire le rimesse. Inoltre, è diffuso il loro uso nell’agricoltura e nell’allevamento, per capire su quali terreni portare le proprie greggi a pascolare, ad esempio, o individuare dove sono localizzati i pozzi per trovare acqua. Aggiunge Alessandro Gilioli, giornalista dell’Espresso: I cellulari in mano agli africani sono, di solito, cinesi o occidentali-rigenerati, ma ormai ci sono anche produzioni locali. Non si va certo a comprarli nei negozi in città (quelli con le vetrine), ma sulle bancarelle o attraverso le varie forme di commercio informale (il cugino dell’amico dello zio della vicina). In questo modo, si riescono a trovare device perfettamente funzionanti e a volte di marca tra i 15 e i 30 dollari.
- “Con gli immigrati aumenta la criminalità”. Come ha dichiarato di recente il ministro dell’Interno Alfano, «numeri alla mano, è indimostrabile che ci sia stato un aumento dei reati in connessione con l’aumento dei migranti». Anzi, secondo i dati del Ministero, nei primi quattro mesi del 2015 si è registrato un calo del 15% di reati rispetto all’anno precedente. A Brescia, ad esempio, la provincia con il più alto numero di immigrati, si è registrato un crollo dei reati del 23% rispetto al 2013. Negli anni in cui i flussi migratori e il numero dei residenti stranieri in Italia sono incrementati, diverse indagini statistiche evidenziano un calo delle segnalazioni, delle denunce e delle incarcerazioni a carico degli stranieri. Il Dossier Statistico Immigrazione, a cura dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziali (Unar), mostra come nell’arco temporale 2004-2012 si sia assistito a un aumento del 37,6% delle denunce contro gli italiani, nonostante un piccolo calo della popolazione, e del 29,6% di quelle contro gli stranieri, il cui numero di residenti in Italia, però, nello stesso periodo è praticamente raddoppiato, passando da 2.210.040 a 4.387.721. Nel complesso, l’incidenza sul totale delle denunce contro gli stranieri è scesa dal 32,5% al 31,1%. Come ha dichiarato Franco Pittau, coordinatore del Centro studi e ricerche Idos, a Lettera 43: «L’allarme sui reati degli stranieri non è del tutto infondato, perché si tratta comunque di una devianza sociale rilevante, ma il dato sul loro tasso di criminalità ha una tendenza virtuosa». «In questi anni, – ha aggiunto Pittau – stiamo assistendo a un aumento degli stranieri, mentre in proporzione il numero di chi tra di loro delinque è in calo». Inoltre, senza sottostimare la gravità degli aspetti legali riguardanti gli stranieri (le denunce più diffuse riguardano attività legate a traffici illegali: il 47% dei reati loro contestati sono furti e ricettazione, il 44% sequestro di persona), il dossier sottolinea che il 17% delle denunce riguardano lo status (il reato di immigrazione clandestina, che un italiano non può commettere) e che i dati sono sovradimensionati, perché le denunce possono riguardare gli stranieri presenti senza autorizzazione al soggiorno e/o una quota, difficilmente quantificabile, degli oltre 50 milioni di stranieri che pernottano almeno una notte in Italia. Per quanto riguarda il periodo 2008-2013, la pubblicazione “I dati statistici sull’immigrazione”, a cura dell’Ufficio Centrale di Statistica del Ministero dell’Interno, mostra che il totale dei segnalati (cioè l’insieme dei segnalati, denunciati e arrestati rilevato da tutte le Forze di Polizia) in Italia al 31 dicembre 2013 ammonta a 978.082 unità, il 9,94% in più rispetto al 2008, mentre per i segnalati extracomunitari si può constatare che l’aumento è dell’1,63%, “di molto inferiore alla media totale”. Se poi si focalizza l’attenzione sul numero dei minori extracomunitari segnalati, la variazione è ancora più bassa, pari al +1,43%. Inoltre, nello stesso periodo di tempo, l’incidenza delle segnalazioni degli stranieri, utile a capire la rilevanza o meno della loro delittuosità rispetto alla totalità delle persone segnalate all’Autorità Giudiziaria per i crimini commessi in Italia, ha registrato una contrazione del 2%, attestandosi a livello nazionale al 31,36% del 2013 rispetto al 33,93% del 2008.
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