Come Carta di Roma esprimiamo preoccupazione a seguito della trasmissione del documentario “La Grande Bugia, Eritrea andata e ritorno” di Francesca Ronchin e Salomon Mebrahtu, andato in onda il 15 luglio 2025 su Rai3
Il documentario sembra avere l’obiettivo di delegittimare la domanda d’asilo delle donne e degli uomini eritrei in fuga dal proprio Paese e di assecondare la versione del regime di Asmara, un governo dittatoriale insediato dopo l’indipendenza dall’Etiopia, nel 1991, e da allora sempre al potere, senza la possibilità di alcuna riforma democratica né di elezioni.
Secondo i funzionari del regime eritreo e gli intervistati per le strade di Asmara, non ci sarebbe alcuna privazione della libertà in Eritrea, alcuna violazione dei diritti umani fondamentali che costringe alla fuga i più giovani da decenni, come invece denunciano le organizzazioni umanitarie di tutto il mondo e come hanno accertato le commissioni di inchiesta delle Nazioni unite, dopo anni di indagini.
Oltre all’embargo, il Paese guidato dal presidente Isaias Afwerki è accusato di “crimini contro l’umanità” per le detenzioni arbitrarie dei dissidenti, per le torture che subiscono in carcere, senza indagini né processi, per la negazione della libertà di espressione, di associazione e di culto, per il “servizio nazionale”, che costringe donne e uomini a servire il governo a tempo indeterminato, con casi frequenti di lavoro forzato, senza reali possibilità di rifiuto e di uscita legale dai confini.
Ricordiamo che l’Eritrea vanta anche il triste primato della più lunga detenzione al mondo di giornalisti. Dal 2001 sono in carcere almeno 11 uomini che avevano tentato di fondare organi di informazione libera, chiedendo il rispetto del diritto di espressione, presupposto di qualsiasi democrazia. Attualmente, infatti, in Eritrea non esiste stampa libera e indipendente, se non la televisione di Stato EriTV, sotto il pieno controllo del regime. Non a caso, l’Eritrea, secondo il rapporto di Reporters Without Borders, si colloca all’ultimo posto (180°) della nell’Indice della Libertà di Stampa.
Dal punto di vista deontologico, si ricorda il punto 3 dell’Art. 14 del Codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti, che stabilisce che “Nei confronti delle persone migranti, rifugiate, richiedenti asilo e vittime della tratta, la/il giornalista: salvo diversa volontà espressa dal soggetto, tutela la persona, non consentendo l’identificazione di coloro che accettano di esporsi ai media in tutte le circostanze in cui ciò possa arrecare danno ai diretti interessati o ai loro congiunti. Inoltre, si assicura, quando la persona accetti di essere identificata, che abbia piena consapevolezza della diffusione mediatica dei suoi dati personali e delle possibili conseguenze per sé e per i suoi familiari”.
Nel documentario alcune/i intervistate/i sono del tutto riconoscibili con nomi e cognomi, altre/i sono riconoscibili in volto, senza una contestualizzazione circa il loro ruolo; se rifugiate/i andrebbero protette/i dall’esposizione diretta sui media, per evitare ritorsioni su essi stessi e sui propri famigliari.
In generale, il documentario vorrebbe mettere in discussione, quando non in ridicolo, l’intero sistema istituzionale che vigila sul rispetto del diritto d’asilo in Italia, riportando testimonianze di – presunti – rifugiati che dichiarano di avere mentito alle autorità preposte, presentandosi come vittime del regime eritreo, mentre in realtà sarebbero addirittura di altre nazionalità.
Allo stesso tempo, gli autori del documentario propongono una rappresentazione del governo eritreo come amichevole, pacifico e disponibile al confronto, senza alcun contraddittorio né voce che possa confutare seriamente tale narrazione. Il rischio maggiore è che questa operazione mediatica serva a legittimare l’Eritrea come Paese sicuro, negando in futuro ogni forma di protezione internazionale per chi fugge.
Non a caso, alla conclusione del filmato, si promuove come un punto di svolta per le relazioni tra Italia ed Eritrea il progetto di investimenti del cosiddetto Piano Mattei, con interviste a imprenditori che già hanno delocalizzato la produzione ad Asmara, dove non esiste sindacato libero, dunque senza alcuna possibilità di contrattazione collettiva.
Per tutti questi motivi il documentario in oggetto ci pare un pessimo esempio di lavoro giornalistico libero e indipendente, come ci si aspetterebbe dal servizio radiotelevisivo pubblico, mentre suggerisce un allineamento acritico e ossequioso ai progetti di investimento promossi dall’attuale governo italiano e dal regime eritreo.
Oltre al merito giornalistico, inquietano le probabili conseguenze sul piano della protezione internazionale per gli eritrei in opposizione e in fuga dal regime.
Vittorio Longhi, giornalista, Direttore editoriale della testata www.cartadiroma.org