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Tubercolosi, aids, scabbia: ecco cosa dicono i dati sui migranti “untori”

L’Inmp pubblica un monitoraggio sulle tre patologie, indicate come legate a un afflusso sempre maggiore di persone straniere nel nostro Paese, confutando l’ipotesi contagio

di Eleonora Camilli per Redattore Sociale

Dopo l’ultima inchiesta della procura di Catania su Medici senza frontiere incentrata sullo smaltimento dei rifiuti provenienti dalle navi che fanno soccorso in mare, si torna a parlare di migranti e malattie. Un legame spesso indagato e smentito da medici e ricercatori. Questa volta a smontare la bufala sui migranti “untori” ci pensa l’Inmp, l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà. In particolare, l’ente pubblica sul suo sito un monitoraggio sulle tre patologie tubercolosi, Aids/Hiv e scabbia, indicate sempre più come malattie il cui contagio sarebbe causato da un afflusso sempre maggiore di persone straniere nel nostro paese.

Per quanto riguarda la tubercolosi, spiega l’Inmp i dati del Ministero della Salute indicano come negli ultimi 15 anni il numero di casi è rimasto pressoché costante (circa 4.500 segnalazioni l’anno), a fronte di una lenta e progressiva diminuzione dell’incidenza nella popolazione generale: da 9,5 casi/100.000 abitanti nel 1995 a 7 casi/100.000 nel 2012 e 6,6 casi/100.000 nel 2016. In particolare, il tasso di incidenza (dati 2016) è inferiore a quello della media dei Paesi dell’Unione Europea (11,4) e tra i più bassi tra quelli osservati nell’Europa occidentale (superiore solo a Danimarca, Finlandia e Norvegia), secondo i dati del rapporto “Tuberculosis surveillance and monitoring in Europe 2018 – 2016 data” pubblicato dallo European Centre for Disease Prevention and Control/WHO – Regional Office for Europe.

L’Istituto analizza separatamente i dati relativi alla popolazione straniera, rilevando un andamento altalenante: un aumento del numero assoluto da 1.652 nel 2003 a 2.310 nel 2012, una diminuzione fino al 2015 e un nuovo incremento nel 2016 (2.419 casi), in prima ipotesi da correlare al picco di arrivi nel nostro Paese osservato in quell’anno (181.436). “Tuttavia, – spiega l’Inmp – quando l’aumento dei casi viene posto in relazione con l’aumento della popolazione straniera in Italia (più che raddoppiata negli ultimi 10 anni), si nota che il tasso diminuisce anche tra gli immigrati, con valori più che dimezzati: da 99,5 per 100.000 nel 2003 a 55,3 per 100.000 nel 2012 e 48,1 per 100.000 nel 2016”. I casi sono aumentati, dunque, solo in numero assoluto e non in proporzione all’aumento del numero degli immigrati (+243% nel 2016). L’Inmp esclude, dunque un allarme per la popolazione italiana. “A tale evidenza si aggiunge la maggiore consapevolezza verso la malattia da parte del servizio sanitario nazionale – spiega l’Istituto, – che si è recentemente dotato di apposite linee guida per il controllo delle malattie alle frontiere e per il controllo della tubercolosi”

Lo stesso vale per il virus dell’Hiv e per l’Aids. Secondo il rapporto Osservasalute 2017,  tra il 2006 e il 2016 sono stati segnalati circa 35.000 nuovi casi di infezione di HIV tra gli adulti, di cui 9.705 a carico di stranieri. Tra questi ultimi, il numero assoluto delle diagnosi è andato aumentando (tra gli uomini da 322 casi nel 2006 a 676 nel 2016 e tra le donne da 251 a 461 casi), fenomeno questo correlabile sia ad una maggiore copertura del Sistema di sorveglianza sia all’incremento della popolazione straniera in Italia. “Tuttavia, va segnalato che i tassi di incidenza per l’Hiv mostrano una diminuzione tra gli stranieri inizialmente più accentuata, da 51,3 per mille nel 2006 a 27,7 per mille nel 2011. Poi più graduale, fino a un lieve incremento nel 2016 (28,5 per 100.000). Tale ultimo dato potrà essere meglio interpretato solo con un’osservazione dei trend nei prossimi anni – spiega l’Istituto, ipotizzando anche che questo possa essere legato all’emersione del fenomeno dovuta a un maggior ricorso allo screening per Hiv da parte degli operatori sanitari, più che di una ripresa dell’infezione tra i migranti. A ciò si aggiunge un decremento, negli stessi anni e tra gli stranieri, dei tassi di incidenza di Aids (malattia conclamata), probabilmente grazie all’aumentata disponibilità della terapia antiretrovirale così come alla maggiore opportunità di accesso ai servizi specialistici.

Infine, per la scabbia l’Istituto sottolinea che si tratta di una patologia  “effettivamente diffusa tra i migranti allo sbarco, come conseguenza delle condizioni di scarsa igiene e promiscuità subite nei centri di raccolta nei Paesi di partenza e transito e durante la traversata”. Dai dati raccolti dal team specialistico dell’INMP negli hotspot di Lampedusa e Trapani-Milo nel 2015-2016, su 6.188 persone visitate, il 58 per cento ha ricevuto una diagnosi di scabbia. “Tuttavia, nonostante l’elevato riscontro della diagnosi, non sono stati registrati casi di contagio tra gli operatori sanitari e, più in generale, a seguito di tutti gli sbarchi in Italia, non sono mai state segnalate epidemie tra gli italiani, a conferma” conclude l’Istituto.

Sul tema si è espresso anche Roberto Burioni, medico ,accademico, attivo come ricercatore nel campo relativo allo sviluppo di anticorpi monoclonali umani contro agenti infettivi. Sul suo nuovo sito di divulgazione scientifica “Medical facts” parla di una ricerca inglese e danese secondo cui i migranti arrivano sani e si ammalano nei Paesi di arrivo. “I batteri resistenti agli antibiotici non li acquisiscono nei loro Paesi poveri e martoriati, dove soldi per gli antibiotici scarseggiano e le medicine vengono usate con il contagocce – spiega l’articolo a firma Roberto Burioni e Nicasio Mancini. – I batteri resistenti, tenetevi forte, i migranti li contraggono quando sono costretti a vivere, pigiati con altre centinaia di persone, in condizioni inumane in Paesi in cui i batteri resistenti agli antibiotici sono presenti in maniera molto abbondante. Indovinate qual è uno di questi Paesi? Avete indovinato: l’Italia, che non solo è un luogo di primo approdo per i migranti, ma anche un Paese (insieme alla Grecia), che primeggia in Europa per la presenza di questi pericolosissimi batteri resistenti ai farmaci. Dunque, non siamo noi che prendiamo questi pericolosi batteri dagli immigrati (le evidenze di trasmissione alle popolazioni locali sono ancora molto scarse). Ma sono i migranti che li prendono da noi”. Il paradosso – spiega il medico – è che in altri Paesi in Europa, dove il numero di batteri resistenti è molto inferiore al nostro, “sono preoccupati da chi proviene dall’Italia, perché potrebbe diffondere questi batteri – aggiunge il medico. – A proposito, a conferma di quanto emerge dallo studio, questo non vale solo per gli immigrati, vale anche per noi italiani. Ci sono nazioni in cui, se un italiano è ricoverato in ospedale, è tenuto in isolamento (potremmo quasi dire in quarantena), durante il periodo di ricovero, per il timore che possa diffondere i batteri resistenti dove non ci sono”.

L’articolo di Burioni è stato criticato oggi dal quotidiano La Verità. Nel pezzo di apertura del giornale, dal titolo “Le balle del medico prediletto del Pd: gli italiano infettano gli immigrati”, il direttore Maurizio Belpietro accusa il medico di mistificare i contenuti della ricerca di The Lancet. “A leggere ciò che spiega il sito di Burioni, la ricerca sarebbe definitiva, – scrive Belpietro. – Peccato che già sul sito della rivista si capisca che definitiva non è, ma si tratta di una “scoperta” tutta da valutare, innanzitutto perché, come ammettono gli stessi ricercatori, basata su dati un po’ scarsi e poi perché a influire sulla diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici non sono gli italiani, ma le “condizioni di viaggio” dei migranti per arrivare da noi”. Non si è fatta attendere la replica di Burioni che su Twitter ha scritto: “Confermo che il contenuto del nostro articolo su  rappresenta una corretta e rigorosissima lettura dell’articolo citato, pubblicato su Lancet Infectious Diseases. La Verità gli fa male lo so; ma i fatti sono fatti e bisogna accettarli anche se sgraditi.

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