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Sentirsi guardati con sospetto

A cura di Alidad Shiri, su Quotidiano Alto Adige

E’ da tempo che vorrei comunicare un mio disagio profondo, ma non vorrei creare polemica. Non citerò psicologi, sociologi, filosofi o antropologi, ma solo vorrei semplicemente esprimere quello che io sento, che magari altri avvertono, ma non hanno il coraggio di raccontare, né voce sui media.

Forse è una sensazione esagerata, dovuta a tanti fattori, soprattutto alla vulnerabilità di chi, come me, ha affrontato durissime prove nella vita, di chi è quindi sempre particolarmente sensibile a qualunque atteggiamento di sospetto. Ormai sono passati due anni dalla mia felice conclusione di un lungo percorso scolastico e accademico. All’inizio vedevo con un po’ di trepidazione la possibilità di entrare finalmente nel mondo professionale, di valorizzare le mie capacità. Sono presto entrato nel mondo del lavoro con un contratto a tempo indeterminato che svolgo con molta soddisfazione.

Nello stesso tempo è vitale per me potere continuare a sensibilizzare i giovani soprattutto, attraverso numerosissimi incontri di dialogo, nelle scuole, nei festival, in convegni, nelle università, in ogni parte d’Italia dove sono continuamente invitato, oltre che attraverso interviste e articoli sui media. A volte pure qui, su questo quotidiano, ho sempre cercato di comunicare sinceramente la mia visione della realtà, e spesso mi sono sentito capito.

Anche la Provincia di Bolzano, in cui vivo, mi offre spazi originali di intervento. Pur essendo pienamente incluso, avverto però come un’ombra: riscontro ultimamente sempre più spesso alcuni comportamenti durante i miei spostamenti sui mezzi pubblici, o anche mentre mi muovo a piedi, che mi feriscono e mi interrogano profondamente mandandomi in crisi interiore. Pur trovandomi in mezzo ad altre persone autoctone, mi vengono spesso richiesti i documenti, a me solo, non agli altri a cui sono vicino.

La gente intorno mi guarda con un po’ di sospetto, con uno sguardo che mi fa male, mentre i due agenti controllano la mia identità ostruendo il passaggio. Mi viene da chiedere: perché a me e non agli altri che mi circondano? E’ un controllo ordinario od un’umiliazione? Mi è capitato anche che qualcuno mi chiedesse con un atteggiamento snob di superiorità, se è un documento italiano, senza averlo neanche guardato.

Sto parlando della nostra Provincia, dove mi capitano frequenti controlli. Ho notato che diminuiscono se sono vestito in modo elegante, ma questo mi crea ancora più disagio perché voglio essere me stesso, rispettato per la mia dignità umana, come ogni altro individuo, non per i vestiti che indosso.

Questi controlli si puntano su persone dalle caratteristiche somatiche non europee, ancora peggio per chi ha la pelle di colore scuro. Come non cogliervi una grave discriminazione? Questa per me e per tanti altri è causa di disagio, rabbia, frustrazione esistenziale. Lo è ancora di più per i ragazzi e le ragazze di seconda o terza generazione, che sono nati e cresciuti qui, hanno fatto un percorso formativo anche di alto livello, lavorano, pagano giustamente le tasse, fanno volontariato, si sentono parte di questa società che ormai è multiculturale. Vedere e provare sulla propria pelle certi comportamenti discriminatori da parte di alcune istituzioni crea solo divisione, chiusura in ghetti difensivi. Si vive una grande contraddizione tra la presa di coscienza che siamo un valore per la società e il sentirsi sminuiti e umiliati di fronte ad altri da certe istituzioni.

Alla fine, questo atteggiamento di sospetto provoca una mentalità che vede soprattutto il negativo nella società e vanifica gli sforzi di inclusione. Così si rischia anche da noi l’esplosione di un conflitto, come abbiamo visto alcuni anni fa in Francia. Quindi è urgente a mio avviso che le istituzioni facciano passi avanti, aggiornandosi al nuovo contesto multiculturale, multietnico, multireligioso in cui svolgono il loro servizio.

Ma è altrettanto importante che la mentalità comune cambi atteggiamento, e capisca che è solo attraverso il rispetto, la comprensione reciproca, la tolleranza che possiamo costruire una società più giusta, equa e solidale, dove ogni individuo possa sentirsi parte integrante e i suoi diritti e doveri civili vengano rispettati.

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