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Fact checking: l’arma contro il populismo

Sempre più diffusa in Europa, l’attività dei fact checkers di 20 paesi è analizzata in un rapporto pubblicato da Reuters

In Europa ci sono oggi 34 fonti stabili che lavorano sul fact-checking politico in 20 paesi diversi: dall’Irlanda alla Turchia, di fact checkers se ne possono trovare in ogni parte del continente, inclusi i paesi del nord, del Mediterraneo, dell’Europa centrale, dei Balcani e delle ex repubbliche sovietiche.

Ad analizzare la loro attività un report dell’Istituto per il giornalismo della Reuters pubblicato lo scorso 23 novembre.

Gli autori del progetto “The rise of fact checking sites in Europe” (“La crescita di siti di fact-checking in Europa”) sono: Lucas Graves, della scuola di giornalismo e comunicazione di massa dell’università del Wisconsin e Federica Cherubini, di Condé Nast International. Il report è basato su interviste fatte a oltre 40 fact checkers, su analisi di siti da otto diversi paesi europei e su un sondaggio online condotto da agosto a settembre 2016 con risposte di 30 organizzazioni.

Il fact checker identifica sé stesso in molti modi, c’è chi si vede come un giornalista, chi come attivista e chi come esperto del settore, in alcuni casi ritrovandosi anche in due profili su tre. In termini di obiettivi professionali il 43% degli intervistati ha dichiarato di: “Avere come principali finalità quelle di voler migliorare la qualità del discorso pubblico e di chiedere conto ai politici delle proprie azioni”, attraverso l’ausilio efficace dei numeri.

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I casi di studio del report

In generale, lo studio mostra come nell’Europa del Nord e in quella occidentale i team di fact checking siano più spesso parte di una redazione giornalistica mentre nell’Europa dell’Est tendano ad essere indipendenti e sostenuti da organizzazioni non governative.

Tra i diversi casi studio analizzati c’è Les Décodeurs, il blog della testata Le Monde. Sono partiti da due persone e oggi sono un gruppo di 10 che produce 15 schede di fact checking al mese.

Come indica il grafico contenuto nel rapporto, “fornire ai cittadini le informazioni per perdere decisioni politiche” è il principale motivo per cui è svolta attività di fact checking.

Vi è poi l’inglese Full Fact, fondato nel 2010, un ente benefico che include come membri del consiglio di amministrazione giornalisti ma anche esponenti dei principali partiti politici. Full fact ha uno staff di 11 persone che controlla circa 40 affermazioni a settimana fatte sia da politici che dai media. In Italia invece si trova Pagella Politica, lanciata nel 2012 da nove giovani volontari e che oggi produce, tra l’altro, fact checking per il programma di approfondimento Virus.

“Molti fact checkers nei Balcani e nell’ex Unione Sovietica sono sostenuti da ong anche per realizzare un processo di costruzione democratico: combattere la corruzione, promuovere l’impegno civile, diffondere una cultura di responsabilità politica” scrivono gli autori del report. È il caso di FactCheck Ukraine: “Vediamo il fact checking come parte integrante di un movimento di riforma civile – dice il capo progetto Igor Korkhovyi  – l’idea fondante è coinvolgere le persone comuni nel processo di responsabilità e monitorare la retorica ufficiale e combattere il populismo”.

Per leggere il rapporto completo clicca qui

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