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Filiera sporca. “In Italia c’è ancora lo schiavismo, si chiama caporalato”

Lo sfruttamento di braccianti stranieri e contadini italiani nel mercato delle primizie

«Ho comprato una bicicletta qui dentro per 25 euro. Ogni giorno, aspettiamo le 8. È l’orario di apertura, prima non si può. Stiamo dietro i cancelli, come in gabbia. Poi le porte si aprono e cerchiamo qualcuno per la giornata». Lo racconta Marcus, richiedente asilo che proviene dal Gambia e vive, oggi nel Cara di Mineo. Come molti altri ospiti del centro, circondato da aranceti, ogni mattina attende di poter uscire in strada per attendere il passaggio dei proprietari dei campi, che selezionano i braccianti.

A raccontare la sua storia è il rapporto #FilieraSporca: “i padroni dei campi di arance cercano manodopera a costo zero. Gente ricattabile, che non ha documenti o ha documenti precari. E che ha bisogno di soldi”, denuncia l’indagine, che ripercorre la filiera per capire dove queste arance vadano a finire.

Ogni mattina gli ospiti del Cara di Mineo attendono l’apertura dei cancelli per poter andare in strada e attendere i caporali che selezioneranno la manodopera per gli aranceti. ©S.Farolfi/#FilieraSporca

La campagna di Mineo, infatti, non è solo aranceti, ma anche magazzini e industrie di trasformazione che hanno come sbocco successivo la grande distribuzione e le multinazionali del succo. Le arance prodotte in condizioni di estremo sfruttamento possono finire in questi canali? «Diciamo che può essere una realtà», risponde a #FilieraSporca il presidente di una cooperativa che si trova nei pressi di Mineo: «Noi siamo un punto di incontro per i produttori ma se qualcuno di loro mette al lavoro persone provenienti dal Cara non è nelle mie competenze verificarlo. Quello che posso fare io è sensibilizzare i produttori a una cultura del lavoro differente».

Se le condizioni di lavoro per i braccianti sono queste, è in parte dovuto all’andamento del mercato delle arance: molti proprietari di piccoli aranceti sono stati, negli anni, costretti a vendere i loro terreni perché, di fronte a prezzi di vendita all’ingrosso sempre più bassi, la produzione causava loro perdita e non guadagno.  Nelle mani di pochi, moderni “feudatari”, è stata concentrata la proprietà della maggior parte degli aranceti. I contadini, senza più la loro terra, finiscono a volte per trovare lavoro nei magazzini e nelle fabbriche di trasformazione dei nuovi grandi commercianti e si ritrovano a essere loro stessi vittime di gravi forme di sfruttamento.

Alcuni approfondimenti:

L’illegalità nella “filiera sporca” delle primizie Lavoratori truffati dai padroni sugli 80 euro, L’Espresso

#FilieraSporca, rapporto sulla raccolta dei rifugiati nelle campagne siciliane: “In Italia c’è ancora lo schiavismo, si chiama caporalato”, Huffington Post

Caporalato, la “filiera sporca” dell’ortofrutta: migranti sfruttati e lavoratori derubati degli 80 euro di Renzi, Il Fatto quotidiano

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