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L’odio vende bene

Inventava notizie per ottenere più click. La strategia dell’odio che piace anche alle testate

Inventava notizie con protagonisti negativi migranti e rifugiati per ottenere più click. A essere accusato di istigazione all’odio razziale sul web è un ventenne autore del blog senzacensura.eu, ora oscurato dalle autorità competenti. A denunciare alla Polizia postale il sito che spacciava storie di fantasia per fatti realmente accaduti un giornalista.

Proteste, aggressioni e crimini di vario genere. Argomenti che incuriosivano facilmente il lettore, specie perché in ogni post ricorrevano gli stessi tre elementi: i personaggi negativi erano immigrati o rifugiati, le vittime erano italiane, nulla era mai avvenuto davvero. Una strategia che consentiva all’ideatore del blog – uno studente universitario senza precedenti penali – di mantenere alto il livello di visite del sito. «Quando lo abbiamo interrogato – ha dichiarato al Giornale di Sicilia, che riporta la notizia (qui), il dirigente della Polizia postale di Catania, Marcello La Bella – ci ha detto che non aveva alcuna intenzione razzista, ma voleva solo guadagnare il più possibile. Gli inserzionisti pagano in base a quante volte viene cliccato un banner, un annuncio pubblicitario. Lui già ne contava migliaia, solo mettendo in circolazione quelle notizie che sono risultate del tutto infondate, ma circolavano parecchio su Facebook come altrove. Di ciò, s’e’ accorto un giornalista e dalla sua segnalazione è scattata la nostra attività di indagine».

In pochi mesi di attività, grazie ai social network, le false notizie avevano conquistato una certa visibilità, riuscendo a raggiungere migliaia di utenti. Nonostante il blog non si presentasse affatto come un sito di notizie affidabile e nonostante le storie raccontate attraverso le sue pagine non trovassero riscontro su alcuna testata giornalistica, i titoli rimbalzavano da una pagina Facebook all’altra, ottenendo ogni volta nuovi consensi e commenti, tanto che alcuni è ancora possibile trovarli in rete. È il caso di «Catania, 15enne bruciato vivo. Massacrato perché cristiano», falsa notizia diffusa il 17 agosto finita anche su un noto sito smascheratore di bufale: titolo e introduzione sono ancora disponibili su diverse pagine social. Basta leggere alcuni commenti generati dalla notizia per comprendere meglio l’accusa di istigazione all’odio razziale.

Non solo blog

Questo episodio è emblematico: uno studente decide che la strategia di marketing migliore per il suo blog è quella di offrire notizie sugli “immigrati cattivi”, non importa se son false, non importa se il blog non è affatto credibile. E il mercato sembra, in parte, dargli ragione.

I media, forse, dovrebbero interrogarsi sulle proprie responsabilità in proposito. Quanto abbiamo contribuito alla creazione di un ambiente in cui una tale strategia viene sfruttata perché considerata vincente, anche da chi non è interessato a promuovere una certa campagna politica?

Dare ripetutamente spazio senza alcuno spirito critico a politici che istigano all’odio – e ai contenuti che incitano all’odio da loro diffusi – può aver contribuito? Mandare in onda servizi falsi, pagando per far pronunciare davanti a un microfono le parole che si vogliono ascoltare, può aver contribuito? Quando una testata manipola un titolo o una notizia per renderla più “appetibile” – cosa che avviene in continuazione – generando sul web innumerevoli commenti che incitano all’odio, sta facendo qualcosa di tanto diverso da quello studente? No. Ed è ancora più grave: perché una testata giornalistica ha il dovere di informare, il dovere di raccontare la realtà in modo onesto. Ha il dovere – conseguenza dei precedenti – di contrastare l’hate speech: esso si basa su fatti e dati distorti o falsi, su menzogne storiche e scientifiche, contrastarlo significa cercare di perseguire uno degli obiettivi fondamentali del lavoro giornalistico, quello di aiutare il pubblico a comprendere ciò che accade, a percepire la realtà senza distorsioni.

Attraverso un’informazione corretta e accurata, attraverso una terminologia appropriata, attraverso procedure di moderazione dei commenti: è necessario seguire l’esempio di quelle testate che hanno già deciso di dire #nohatespeech.

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