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Contro l’odio una maggiore responsabilità

Sulla segnalazione relativa ai commenti generati da un articolo del Messaggero Veneto pubblicata su questo sito hanno preso posizione in molti. Ripercorriamo la vicenda: al centro il linguaggio che promuove o contiene l’odio

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In un clima che, in molti luoghi d’Italia, è già esasperato, i media devono fare un uso responsabile del linguaggio. È il primo passo per contenere e contrastare i discorsi d’odio.

Ripartiamo da questo principio per ripercorrere un episodio che ha per protagonista il Messaggero Veneto.

La segnalazione e la dichiarazione del Garante

Il 5 luglio ricevevamo e pubblicavamo integralmente la segnalazione accompagnata dal commento di un collega, Luigi Grimaldi, relativa a un articolo pubblicato dalla testata sopracitata. Oggetto della segnalazione la prima pagina “Profughi in rivolta alla Caverzani”. Principale contestazione riguardava il fatto che quanto accaduto nella struttura per richiedenti asilo del Friuli-Venezia Giulia venisse erroneamente definito “rivolta”, generando sulla pagina Facebook della testata un alto numero di contenuti che incitano apertamente all’odio e alla violenza contro migranti e rifugiati.

Dopo la pubblicazione del testo abbiamo ricevuto nuove segnalazioni e commenti relativi allo stesso articolo: di persone in accordo e in disaccordo, alcune delle quali dichiaravano di essere state presenti allo svolgimento dei fatti – altre no.

Il giorno successivo, inoltre, il Garante regionale per le persone a rischio di discriminazione, alla cui attenzione erano giunte le parole d’odio alle quali si faceva riferimento, invitava le testate a «un monitoraggio puntuale e tempestivo sui commenti pubblicati dai lettori». Il Garante aggiungeva che: «Non può trovare alcuna giustificazione il fatto che episodi di tensione e fatti di cronaca che coinvolgano migranti o richiedenti asilo vengano utilizzati per riprodurre un’immagine negativa nei confronti della totalità degli appartenenti a tali gruppi, o addirittura per inneggiare all’odio e alla violenza».

L’editoriale del Messaggero Veneto e la replica dell’autore dell’articolo

Il Messaggero Veneto pubblica allora un editoriale all’interno del quale prende posizione contro l’hate speech, spiegando che le “parole inaccettabili” apparse sul sito “sono state cancellate” e “bloccata la possibilità di commentare” per gli autori. Il quotidiano, dopo aver sottolineato l’importanza del dovere di raccontare, al quale non intende sottrarsi, conclude che il giornalismo debba “fornire elementi con cui ognuno si forma la propria opinione”.

In ultimo, ci giunge la replica dell’autore dell’articolo, Cristian Rigo – anch’essa pubblicata integralmente sul nostro sito – il quale ricorda la gravità dei fatti ai quali ha assistito, ritenendo quindi adeguato l’uso del termine “rivolta”. Ricorda Rigo che è stato infatti necessario, per riportare la situazione alla normalità dopo ore di tensioni e scontri, l’intervento di decine di agenti delle forze dell’ordine.

 

Il dovere di restituire i fatti

Come Carta di Roma temiamo che il dibattito si stia allontanando dal punto centrale: l’uso di un linguaggio responsabile, che più che infiammare gli animi aiuti a comprendere i fatti. Che non punti alla pancia, ma al cervello.

Riteniamo ovviamente doveroso raccontare episodi come questo, che denunciano le carenze del sistema d’accoglienza. Siamo assolutamente d’accordo con Cristian Rigo sul fatto che notizie come questa non debbano essere sminuite, che fatti del genere non debbano essere trascurati. Così come sappiamo bene che il “dovere di raccontare” sia alla base della professione giornalistica: riteniamo che il racconto fedele e accurato di episodi come questo sia, oltre che doveroso, nell’interesse di tutti.

Ci teniamo a sottolineare che, come Carta di Roma, non si contesta affatto la notizia data, né le informazioni contenute nell’articolo. C’è un punto sul quale concordiamo con la segnalazione iniziale e il commento a essa associato – motivo per cui l’abbiamo proposto – ed è il nesso tra il ricorso a un linguaggio che potremmo definire “sensazionalistico” e le manifestazioni d’odio dei lettori.

Nella fattispecie riteniamo che l’uso del termine “rivolta” nel titolo, oltre a non descrivere in modo efficace e corretto l’avvenimento, non abbia aiutato affatto il lettore a capire quale fosse la notizia, né le ragioni dietro alle tensioni – che come l’autore dell’articolo spiega bene, invece, nella replica sono da rilevare principalmente nelle tensioni tra diversi gruppi etnici all’interno della struttura. Inoltre, ci è stata segnalata ripetutamente la sommarietà delle informazioni che hanno accompagnato il lancio della notizia su Facebook in una prima fase.

E proprio sul post pubblicato nella pagina della testata, dove si trovano i commenti d’odio che hanno catturato l’attenzione di molti e fatto discutere, vorremmo soffermarci.

Qui il titolo “Udine, profughi in rivolta – Le foto” è introdotto dalle parole “Gli stranieri, all’interno ci sono poco meno di 800 persone, principalmente di nazionalità afghana e pakistana, protestano con le forze dell’ordine per le condizioni di vita all’interno della struttura”. Ad accompagnare introduzione e titolo una foto che mostra le forze dell’ordine in un atto che sembra quello di contenere i richiedenti asilo all’interno. Sufficienti – l’introduzione, il titolo e la foto – a far comprendere l’accaduto? In questa forma evidentemente no, almeno stando ai commenti degli utenti, tra i quali spicca un alto numero di espressioni violente e razziste.

Poco prima un altro post otteneva gli stessi risultati: “Udine, profughi in rivolta alla Caverzani”, introdotto da “Nel mirino la qualità delle traduzioni, del cibo, e dei posti letto insufficienti ma anche l’aumento di episodi di violenza. All’esterno della caserma ci sono una ventina di mezzi di polizia, carabinieri, guardia di finanza e vigili urbani che hanno formato un cordone di sicurezza”.

Contro l’odio una maggiore responsabilità

Non possiamo che incoraggiare le iniziative di gestione dei commenti come quella descritta dal Messaggero Veneto nell’editoriale, crediamo, tuttavia, che per contenere davvero i messaggi d’odio sia necessario fare un ulteriore passo.

Un passo che dovrebbe, in realtà, precedere quello della gestione dei commenti: abbandonare sensazionalismo e imprecisione, in favore di un racconto che aderisca in tutto e per tutto ai fatti; pesare le parole valutando il contesto in cui l’articolo è diffuso; garantire accuratezza anche nel momento in cui si fa uso dei social per comunicare in diretta gli avvenimenti.

Occorre poi considerare che oggi quasi tutte le testate fanno ampio uso dei social network per promuovere il proprio lavoro: è indispensabile, quindi, riflettere sui meccanismi che animano tali piattaforme e su come, di conseguenza, debba essere impostata la comunicazione se non si vuole incentivare l’odio. Senza questa consapevolezza e uno sforzo in questa direzione, soffermarsi sulle sole modalità di moderazione dei commenti è insufficiente.

Precisiamo: con queste ultime righe non vogliamo puntare il dito contro il Messaggero Veneto in particolare. Piuttosto, ci rivolgiamo a tutte le testate che ancora non hanno avviato una seria riflessione su questo tema affinché si responsabilizzino.

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