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Cattivissimi noi

Buonisti? La migliore risposta è nelle parole scritte da Giovanni Maria Bellu nel 2014

Troviamo appropriato rilanciare oggi queste parole di Giovanni Maria Bellu, presidente di Associazione Carta di Roma, scritte nel 2014 in occasione dell’arrivo a Portopalo di Gaia Ferrara, che quell’estate aveva percorso in bicicletta 1200 chilometri nel Sud Italia per ricordare le vittime del naufragio di Portopalo del 1996.

Ai cattivi riuniti a Portopalo con Gaia Ferrara

Mi dispiace moltissimo non essere lì con voi a Portopalo. Come sanno gli amici, davvero ho fatto tutto quanto potevo per raggiungervi ma alla fine non è stato possibile. Ho pensato di scrivere queste poche righe, provando a immaginare di essere là, in questo momento, a salutare e ringraziare Gaia Ferrara per quanto ha fatto e per quanto farà.

Dal naufragio di Natale sono passati quasi diciott’anni e ne sono ormai passati tredici dal giorno in cui misi per la prima volta piede a Portopalo di Capo Passero ed ebbi la fortuna di trovare un fratello. Si chiama Salvo Lupo ed è un uomo cattivissimo.

Come, direte, lo chiami “fratello” e lo definisci “cattivissimo”?

Un momento. Anche Gaia Ferrara – a dispetto della sua aria così dolce e quasi  indifesa – è una persona cattivissima. E, se è confermato quanto mi è stato detto, dovrebbe essere lì, in mezzo a voi, un altro tipo da cui guardarsi. Si chiama Karl Hoffmann. È tedesco, ma parla molto bene l’italiano. Soprattutto lo capisce. L’italiano e anche gli italiani. Ed è cattivissimo anche lui.

Come pure – non lo conosco di persona, ma me ne è giunta la sinistra fama – è un tipo molto pericoloso, e dovrebbe essere riuscito a infiltrarsi, Valerio Cataldi, un giornalista della Rai che non esita ad avvalersi della collaborazione dei diretti interessati per raccontare le loro storie. E che commette l’atto più ferocemente eversivo che un giornalista possa compiere: dar voce a chi non ce l’ha.

E siccome non sono là in questo momento, non posso elencare tutte le persone poco raccomandabili in mezzo alle quali vi trovate. Mi parlano di rappresentanti dell’associazione Libera, fondata e guidata dallo spietato don Luigi Ciotti. Addirittura di esponenti di Amnesty International. Per non parlare dei sindaci e degli amministratori comunali, a partire da quelli oggi in carica a Portopalo, che si ostinano in questo gioco della memoria anziché approfittare della giovane età che consentirebbe loro di dire semplicemente “Io non c’ero”.

Faccio questa premessa per rassicurare quelli che – da Portopalo a Campione d’Italia, da Pachino a Ventimiglia, un po’ ovunque in Italia, insomma – chiamano “BUONISTE” imprese come quella che Gaia ha appena portato a termine, e anche l’incontro di oggi, e in generale tutte le iniziative a difesa dei diritti fondamentali.

“BUONISTE”, cioè fondate sul nulla: roba per gente poco pratica, lontana dalle realtà. Roba da chierichetti, dame della carità e boy scout. A proposito, un saluto ai feroci boy scout di Portopalo di Capo Passero. Non siete più gli stessi di tredici anni fa, forse alcuni di voi sono i figli di quelli di allora. Non vi ho mai ringraziati abbastanza per il sostegno, anche fisico, che mi deste quando con Salvo, i suoi familiari, pochi amici, ci ritrovammo soli.

Non c’è nulla di “buonista” oggi nell’impresa di Gaia, come non c’era nulla di “buonista”ieri nel coraggio di Salvo. Per la semplice ragione che la difesa della memoria e della verità raramente produce nell’immediato qualcosa di buono. Al contrario, è in grado di scatenare odi feroci, vendette, a volte guerre. Può  modificare – come è accaduto a Salvo – percorsi professionali e costringere a dolorose scelte di vita. Molto spesso non si ha il tempo di  cominciare a vedere qualcosa di buono perché la durata della vita è un battito di ciglia in confronto ai tempi immensi della memoria. Per esempio, in questa vicenda abbiamo dovuto attendere tredici anni per vedere il primo frutto buono, che poi è la cattivissima Gaia.

Possiamo dire che i cosiddetti “buonisti” non sono soltanto cattivi, ma anche egoisti. C’è una frase che – secondo Ennio Flaiano– andrebbe cucita sulla bandiera italiana: “Tengo famiglia”. E’ la sintesi di uno dei principali problemi del carattere nazionale che è stato definito da Edward Banfield, un sociologo americano, con la celeberrima locuzione “familismo amorale”. Due modi – utilizzati migliaia di volte per sintetizzare il peggio dell’Italia – che, non a caso, ben s’attagliano ai difensori della verità e della memoria.

Con una sola, piccola, differenza: che i difensori della memoria e della verità hanno un’idea molto più estesa della famiglia, e una visione molto più preoccupata del futuro dei figli. Diciamo che i familisti amorali in senso classico si occupano dei figli e dei fratelli, a volte anche dei cognati, dei figli degli amici e degli amici degli amici. Noi, invece, pensiamo anche ai figli dei figli, ai nipoti dei nipoti. Insomma, non ci accontentiamo mai. Il nostro egoismo, che è un derivato tipico della cattiveria, si dispiega in un tempo futuro indefinito.

Non è una grande trovata. I difensori della verità e della memoria, infatti, sono anche poco originali. Per esempio quando difendono il diritto d’asilo (quello che fu tragicamente negato ai trecento passeggeri della “nave fantasma”) non fanno altro che chiedere l’applicazione di un principio introdotto nella nostra Costituzione da altri personaggi pessimi, uno si chiamava Sandro Pertini, che avevano sperimentato sulla loro pelle che quando un Paese perde la democrazia è indispensabile darsela a gambe e cercare ospitalità in altri Paesi, all’epoca la Francia e l’Inghilterra.

Appena fu possibile questi loschi personaggi rientrarono in Italia. E per affermare quel principio  “buonista” fecero la cosa meno “buonista” del mondo: impugnarono le armi e vinsero la guerra partigiana. E introdussero nella Costituzione quel principio – il diritto d’asilo – e altri principi fondamentali a tutela dei diritti umani perché sapevano che, purtroppo, la storia non va necessariamente avanti verso il progresso e bisogna tutelare a ogni costo le libertà fondamentali. Pensavano, ancora una volta, alla loro famiglia, alla nostra famiglia umana, allargata e futura.

Sono così cattivi e cinici i “buonisti”, da pensare che salvare la vita e accogliere nel nostro Paese i Pertini africani e asiatici non sia solo un atto umanitario, ma anche un investimento per la nostra sicurezza nel mondo globalizzato.  Pensano che possano arricchire le nostre conoscenze, la nostra intelligenza, e anche la nostra intelligence.  Ci conviene moltissimo far diventare nostri connazionali, e quindi nostri alleati, donne, uomini e bambini che ci portano, senza che noi abbiamo fatto alcuna fatica per formarli, interi pezzi di mondo. Che ci serviranno per le nostre relazioni internazionali, per la difesa del nostro territorio da nemici veri, se malauguratamente arriveranno, e anche per commercializzare e universalizzare i nostri prodotti.

Sono così cinici e calcolatori i “buonisti”, che hanno fatto più di una stima del danno umano, ma anche economico per le ragioni appena dette, causato dal fatto che da metà degli anni Novanta a oggi ventimila nostri potenziali futuri nuovi connazionali sono morti annegati nel Mediterraneo prima di raggiungere le nostre coste. Uno di loro era a bordo della “nave fantasma”. Si chiamava Anpalagan Ganeshu e oggi sarebbe stato un ingegnere informatico di 35 anni.

La feroce ostinazione del cattivo Salvo Lupo ha consentito all’Italia e al mondo di scoprire quella perdita. La feroce determinazione della pessima Gaia Ferrara ci consente di parlarne oggi.

Per me è un momento importante e commovente. Mi fa rabbia non poterci essere. Vorrei condividere questa serata di gioia serena e cattiva. Se ci dicono “buonista”, non rispondiamo nemmeno. Continuiamo, con la stessa feroce determinazione di ogni pedalata di Gaia, a difendere il futuro e la sicurezza dei nostri figli. Dobbiamo essere cattivi oggi per evitare che il mondo sia cattivo domani.

Un perfido abbraccio a tutti

Giovanni Maria Bellu

 

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