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La propaganda non è giornalismo

di Valerio Cataldi e Paola Barretta

Dagli immigrati che portano il virus agli “stranieri” che sottraggono il vaccino agli italiani. Quando il capro espiatorio viene costruito in redazione ha sempre la forma dell’alibi da fornire alle inefficienze della politica. Non ha nulla a che fare con il giornalismo e molto con la divisione sociale.

L’esempio più lampante del giornalismo piegato alla propaganda politica arriva oggi dalla prima pagina di Libero che titola “Mentre chi lavora deve aspettare, vaccinano in massa i migranti”. Un titolo che alimenta lo stigma e l’odio/rancore nei confronti di specifici gruppi, e distoglie l’attenzione su altre questioni rilevanti per la salute pubblica (il ritardo delle vaccinazioni, soprattutto in alcune regioni, agli anziani e ai soggetti fragili).

Un titolo che per rafforzare l’allarmismo utilizza termini come “mentre”, che creano contrasto anche laddove manca una reale correlazione tra le vicende citate.

Già nel corso del 2020 abbiamo rilevato la stigmatizzazione dei migranti come veicolo di contagio del Covid-19 (https://www.cartadiroma.org/wp-content/uploads/2020/12/Notizie-di-transito.pdf). Ben il 13% dei titoli della stampa conteneva riferimenti espliciti al binomio immigrazione-malattie. Casi che contravvengono ai principi e alle buone pratiche di copertura della pandemia, alimentando lo stigma verso potenziali malati e amplificando il ruolo di un gruppo specifico nella diffusione del contagio, o nella sottrazione delle cure (rispetto ad altre categorie fragili come gli anziani).

Colpisce che, nonostante il calo significativo dell’immigrazione nell’agenda della stampa e dell’informazione televisiva, permangano comunque alcune ricorrenze narrative in cui i migranti/rifugiati sono presentati come una minaccia. Non si tratta di notizie false in senso stretto, ma di racconti incompleti e inesatti, che consolidano visioni stereotipate e alimentano un senso di diffidenza, se non di paura, verso gli “stranieri”.

Inoltre, in alcune testate continua a trovare spazio una “retorica dell’altro”, che vede i migranti come membri di un gruppo opposto a quello degli italiani: sono “loro” che sottraggono il vaccino come se non fossero membri della comunità, sono “loro” che diffondono il virus, sono “loro” che si comportano ignorando le regole. Come se “loro” non facessero parte del corpo sociale. Dunque possono diventare il capro espiatorio perfetto per ritardi e inefficienze nella campagna vaccinale – soprattutto in alcune regioni – che nulla hanno a che fare con i centri di accoglienza.

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