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Non chiamatela invasione

Non è raro leggere il termine “invasione” nella rassegna stampa, specie da quando gli sbarchi si sono intensificati. Ultimo, stamattina, L’Espresso: «INVASIONE». Un titolo di una sola parola, a carattere cubitali, dedicato all’arrivo in Italia dei richiedenti asilo. Ci ha stupito che una testata autorevole come L’Espresso, appartenente a un gruppo editoriale altrettanto importante, abbia scelto questo termine inappropriato e “di condanna” per definire l’esodo dei profughi verso l’Europa.

INVASIONE, TREGUA, BOMBA. Il ricorso al lessico bellico non è una novità: in un rapporto pubblicato nel 2012, Medici senza frontiere osservava che «sebbene senza un intento conflittuale specifico» le testate facevano ricorso a questa terminologia per dare più pathos alle notizie sull’immigrazione: si parlava della situazione di Lampedusa in termini di “invasione” o “occupazione”, di “tregua” dagli sbarchi, di “bomba immigrati” (Le crisi umanitarie dimenticate dai media 2011: rapporto di Medici Senza Frontiere).

A distanza di tre anni, l’uso del gergo bellico in riferimento ai migranti dai parte di media è ancora una costante, tanto che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni è intervenuta sull’argomento poche settimane fa.  «Non si può certo parlare di “invasione” – ha scritto l’OIM – Cinquantamila arrivi, anche se diventassero il doppio, rappresentano un numero importante, ma certamente non eccezionale per un paese di 60 milioni di abitanti, anche  rispetto a quanto già accade in altri paesi europei, come in Germania (126.000 richieste d’asilo nel 2013) e in Francia (65.000).  Numeri che poi diventano quasi residuali se paragonati a quanto accade in paesi extra UE (ad esempio il Libano, paese di 4 milioni di abitanti, ospita 1 milione di rifugiati siriani)». Un’indicazione che parte da una considerazione dell’Organizzazione per le migrazioni: l’emergenza di fronte alla quale ci troviamo non riguarda i numeri, ma è di carattere umanitario e organizzativo. Con questo l’OIM non vuole sminuire la gravità della situazione, riconoscendo come «l’arrivo di migliaia di persone via mare, tutte attraverso un punto d’entrata geografico molto limitato e in tempi molto ravvicinati, rappresenti un’enorme sfida operativa e umanitaria per il governo italiano».

In definitiva, l’uso di termini di questo genere è da evitare non per astratte ragioni connesse al politicamente corretto. Ma per una ragione più semplice è sostanziale: è improprio, fuorviante. Non restituisce al lettore “la verità sostanziale dei fatti”.

Si parla di “invasione militare” in guerra, di “invasioni barbariche” in storia, di “invasione di campo” nello sport, di “invasione di agenti patogeni” in medicina. Questo termine si associa sempre all’idea di un ingresso violento arbitrario in un territorio, o in un luogo governato da regole, o in un organismo. E questo non è il caso di chi fugge dal suo Paese per cercare rifugio. Il lessico bellico andrebbe sì utilizzato,ma per spiegare da cosa fuggono i richiedenti asilo.

Il titolo pubblicato da L’Espresso: INVASIONE_L’ESPRESSO

 

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