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Asilo in Europa: la condizione delle donne superstiti di mutilazioni genitali

I traumi vissuti, uniti a un sistema spesso impreparato a riconoscerli, rendono complesso il percorso d’integrazione delle richiedenti asilo vittime di mutilazioni

Alicia* vive a Perugia, ha 30 anni, viene dalla Sierra Leone, è sposata e vorrebbe avere dei figli. Manifesta problemi di salute di natura fisica e psicologica, così viene accompagnata dagli operatori del centro di accoglienza nel quale vive in ospedale. La visita generica non evidenzia nulla, per scrupolo, però è richiesto il consulto di una ginecologa: il sospetto è che possa essere stata vittima di mutilazioni genitali.

La specialista conferma il timore, senza tuttavia essere in grado di stabilire la tipologia di intervento subito da Alicia. Lei ricorda di essere stata sottoposta a un “taglio” da bambina, qualcosa che percepisce come normale, ma accetta di sottoporsi a ulteriori controlli. La sua condizione, infatti, deve essere riconosciuta con un certificato, affinché si tenga conto della violenza subita al momento della valutazione della richiesta d’asilo.

Abusi difficili da raccontare

Il caso di Alicia è stato raccontato a Bruxelles l’8 novembre da Irene Masci, del Cidis, in occasione della conferenza “Vulnerabilità di genere nelle procedure d’asilo dell’Unione europea: focus sulle mutilazioni genitali femminili”.

La sua storia è comune a molte altre donne giunte in Europa: raccontare il trauma subito è difficile, talvolta esso emerge solo dopo anni e non sempre si ha la fortuna di incontrare sul proprio percorso persone capaci di riconoscere il problema e preparate ad affrontarlo.

Lei è stata, sotto questo punto di vista, fortunata: grazie alla collaborazione tra Cidis, Asgi e Centro studi per la prevenzione e lo studio delle mutilazioni genitali femminili, ottiene la certificazione che attesta l’avvenuta infibulazione e le viene riconosciuto lo status di rifugiata. Col supporto di un mediatore culturale è sostenuta nel cammino che la conduce alla decisione di andare in sala operatoria per essere de-infibulata: oggi sta bene, si è lasciata alle spalle la mutilazione subita ed è pronta a portare avanti i suoi progetti familiari.

In due anni 12 delle 31 donne ospitate dai centri gestiti Cidis sono superstiti accertate di mutilazioni genitali femminili.

Secondo i dati Unicef, nel 2016 vi sono nel mondo almeno 200 milioni di donne superstiti di mutilazioni genitali femminili. Nella mappa è mostrata la percentuale di donne tra i 15 e i 49 che ha subito tale abuso nei paesi dove le MGF sono praticate (mappa elaborata dall’Unicef sulla base di dati raccolti tra il 2004 e il 2015 attraverso DHS, MICS e sondaggi nazionali).

“Non lotto solo contro le mutilazioni, ma contro ogni forma di violenza”

A parlare dell’esperienza vissuta sulla propria pelle Bintou Bojang, che a 11 anni ha subito una mutilazione genitale nel suo paese d’origine, il Gambia. Ora vive in Germania, dove ha ottenuto protezione internazionale e ha fondato Innocent Crocodile, organizzazione che combatte per diffondere consapevolezza tra le donne vittime di mutilazioni genitali e per infondere in loro il coraggio di tirar fuori la propria voce per denunciare gli abusi patiti. “Non lotto solo contro le mutilazioni genitali femminili – ha detto in occasione dell’evento – Lotto per i diritti delle donne e contro ogni forma di violenza”. Raggiungere tutto questo non è stato semplice: dopo essere arrivata in Europa, nel 2012, ha raccontato la sua storia alle autorità, che non le hanno creduto. “Pensavo che venendo in Germania le cose sarebbero andate meglio, ma la mia domanda è stata respinta anche dopo gli esami medici”, ha ricordato. Solo dopo il ricorso in appello la giovane donna è riuscita a ottenere la protezione internazionale.

Asilo: per le superstiti di mutilazioni genitali il percorso è difficile

Come Bintou molte altre richiedenti asilo faticano a veder riconosciuta la propria storia. Andrea Vonkeman, che lavora per l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a Bruxelles, durante la conferenza ha spiegato come le ricerche condotte mostrino che le autorità abbiano la tendenza a credere più difficilmente alle esperienze raccontate dalle donne richiedenti asilo, rispetto a quelle riportate dagli uomini. Le condizioni psicologiche delle richiedenti asilo che hanno subito una mutilazione genitale, inoltre, possono rendere meno chiare le deposizioni: lo psichiatra Luc Decleir, esperto in MGF, ha spiegato come il trauma possa affliggere la capacità di fornire racconti coerenti sotto il profilo spazio-temporale.

Nel solo 2015, evidenziano i dati di Unhcr, oltre 65mila donne provenienti da paesi che praticano le MGF hanno avanzato richiesta d’asilo nei paesi membri dell’Unione europea, il 38% delle quali (24mila) potenzialmente già vittime di tali abusi. Cifre che sottolineano la necessità di offrire loro un sistema che, nella fase delicata della procedura d’asilo, tenga conto dei possibili traumi.

“Il trauma psicologico, la vergogna e la stigmatizzazione che molte donne vivono in conseguenza di violenze fanno sì che per i consulenti legali sia difficile guadagnare la loro fiducia – ha affermato l’europarlamentare Mary Honeyball in una mozione indirizzata al Parlamento europeo lo scorso febbraio – È imperativo che le donne raggiungano la fiducia che consente loro di svelare dettagli di esperienze traumatiche. Decisioni scorrette possono risultare in tragedie irreversibili“.

Il grafico mostra il decremento della percentuale di ragazze tra i 15 e 19 anni che hanno subito una mutilazione genitale (grafico elaborato dall’Unicef sulla base di dati raccolti tra il 2004 e il 2015 attraverso DHS, MICS e sondaggi nazionali).

*Nome di fantasia

 

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