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Poche risorse per i media che raccontano l’immigrazione

Uno studio finanziato dall’Unione europea fotografa il racconto delle migrazioni nei media di 17 paesi dal 2015 al 2016, tra stereotipi e buone pratiche

Sulle criticità del racconto mediatico dell’immigrazione, influisce negativamente la scarsità di risorse a disposizione delle redazioni. A rilevarlo uno studio dal titolo “Come i media raccontano la migrazione sulle due sponde del Mediterraneo?” condotto dall’Ethical Journalism Network (Ejn), elaborato dal International Centre for Migration Policy Development (Icmpd) e finanziato dall’Unione europea. Per il report i giornalisti di 17 paesi hanno esaminato la qualità della narrativa mediatica sulla migrazione dal 2015 al 2016. Lo studio ha coperto 9 paesi in Europa (Austria, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Malta, Spagna, Svezia) e e 8 nel sud del Mediterraneo (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Palestina, Tunisia).

Investire risorse per un’informazione di qualità

Secondo il report la narrazione della migrazione è spesso pervasa dall’odio e da parole come invasione, ondata, maree, termini che, secondo il report, sono dovuti anche “a una preparazione approssimativa dello staff che si occupa di raccontare le migrazioni, che lavora in condizioni precarie e talvolta non possiede l’opportuna competenza in materia.”

Come strumenti di contrasto a questa modalità di racconto il report fornisce una serie di indicazioni utili per cambiare in positivo la narrazione, che necessitano di investimenti economici per essere realizzate. Innanzitutto intensificare gli incontri e i workshop formativi per i giornalisti e i media che incoraggino report etici con focus sul corretto uso della terminologia, volti a fornire una competenza anche sul diritto umanitario e a diffondere la conoscenza di strumenti di contrasto dell’hate speech. È altrettanto indispensabile promuovere la condivisione di informazioni ed esperienze positive ma anche coinvolgere i politici, la comunità e i leader della società civile ad avere un ruolo attivo nella creazione di spazi per il dialogo e la conoscenza di e sulla migrazione, sensibilizzandoli anche sul fronte pratico dello stanziamento di risorse. Media e pubblico competenti determinano, secondo il report, una diffusione corretta e non approssimativa.

Le buone pratiche come strumento contro gli allarmismi

Attualmente la narrativa della migrazione tende spesso a seguire due tipologie stereotipate: “Una più emotiva che racconta i migranti come vittime; una che vede i migranti come una minaccia potenziale alla sicurezza, al welfare e alla cultura delle comunità ospitanti” si legge nello studio.

Inoltre, la diffusione di social media e risorse online “influenza la copertura mediatica incoraggiando una sorta di corsa alla pubblicazione il che contribuisce alla diffusione di informazioni allarmiste, che generano paura e ignoranza presso il pubblico di lettori, raccontando la migrazione come un problema più che come fenomeno globale multi sfaccettato con una varietà di cambiamenti, sfide e opportunità” specifica il report.

In questo contesto avere a disposizione le risorse e usare i termini giusti è indispensabile ed è in questo secondo senso che il report riporta come buone pratiche già esistenti la Carta di Roma e la Carta di Idomeni perché promuovono lo scambio di buone prassi e che potrebbero diffondersi anche in altri paesi dell’area mediterranea.

Per consultare l’intero rapporto clicca qui

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