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Miti e realtà dell’immigrazione in Italia

A cura di Media e Multiculturalità

«La decisione di concedere visti, di stipulare un accordo di riammissione con i paesi di origine o di transito, di pattugliare un certo tratto della frontiera, di punire più o meno severamente l’immigrazione irregolare o il traffico e il favoreggiamento di questa, di adottare misure per ostacolare o impedire a determinate categorie di stranieri di entrare sul territorio nazionale rientrano controlli esterni. L’ispezione di un luogo di lavoro, il costante monitoraggio del territorio operato, ad esempio, per mezzo del controllo dei documenti di identità personali, la decisione di espellere dal territorio dello stato uno straniero o, viceversa, di regolarizzarlo, rientrano nella seconda modalità e sono detti controlli interni.

In breve: i controlli esterni si sforzano di “tenere fuori” dalla porta gli immigrati indesiderati, mentre i controlli interni si sforzano di ‘cacciarli’ da quella stessa porta».

Se «in Italia le misure di controllo dell’immigrazione sono oggetto di opposte mitologie a fini di battaglia politica», Asher Colombo, docente di sociologia all’Università di Bologna, con il suo nuovo libro «Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia» si propone di fornire un’analisi del fenomeno basata su informazioni e dati affidabili provenienti da banche dati finora inesplorate ma imprescindibili per la comprensione dei fenomeni sociali. L’immigrazione non fa eccezione a questa regola, numeri, percentuali e grafici possono aiutare a costruire ipotesi e collegamenti storici che aiutano a comprendere ed affrontare meglio il presente.

Il libro ci riporta indietro negli anni, quando l’Italia non era ancora un paese di immigrazione bensì di emigrazione, si parla dei trent’anni gloriosi della migrazione (dal 1945 al 1973) durante i quali non vigevano confini ma solo «impulsi ad emigrare dai paesi del sud Europa e del Mediterraneo verso il nord», per giungere all’inversione di tendenza che vede i paesi cambiare le loro normative ed aumentare i controlli alle loro frontiere.

Vengono definiti alcuni termini ambigui e sfatati alcuni miti. Ad esempio esistono diversi tipi di immigrati irregolari, «l’endemica diffusione di questi termini e il loro uso intercambiabile hanno a volte ostacolato la comprensione dei fenomeni a cui si riferiscono, usando a volte “irregolari”, altre “illegali” altre ancora “clandestini”, queste parole sono ormai diventate le «principali destinatarie delle preoccupazioni degli esecutivi».

Si scopre che l’immigrazione irregolare «non è una novità recente né una modalità nuova e originale che assumono i flussi migratori», i quali «non dipendono da specifiche caratteristiche dei sistemi migratori ma piuttosto dall’effetto dell’esistenza di vari sistemi di vincoli con cui gli stati nazionali contrastano o cercano di governare i movimenti di persone. Vincoli tutt’altro che recenti […]».

A discapito di quanto viene diffuso dai media main stream, le ultime pagine del libro traggono le debite conclusioni e invitano i lettori a ricordare tra le tante cose che l’Italia non è solo «un paese che probabilmente ha bisogno di immigrazione», bensì che è proprio «avviato verso un cambiamento che prevede in futuro una presenza tutt’altro che trascurabile di italiani col trattino, oppure un paese multietnico, come ama chiamarlo chi dimentica che le sue varie ed estese minoranze linguistiche e nazionali lo rendevano tale già molto tempo prima dell’arrivo degli immigrati».

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