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Rom e sinti: un anno di contraddizioni e speranze

Nell’immaginario collettivo italiano la presenza dei rom e dei sinti viene ritenuta come numericamente rilevante in quanto percepita come fastidiosa, molestatrice e attentatrice alla pubblica sicurezza. In realtà, se guardiamo i numeri, scopriamo che in Europa l’Italia ha una delle percentuali più basse di rom: lo 0,25% sul totale della popolazione residente nel nostro Paese. Se poi scendiamo nel dettaglio scopriamo che i rom e i sinti “visibili” sono coloro che vivono il disagio abitativo che in Italia equivale – solo per loro – alla probabile condanna ad una vita all’interno dei cosiddetti “campi nomadi”. La percentuale precipita così verso un misero 0,06% in quanto riferita ai 40.000 rom e sinti che in Italia vivono in insediamenti formali e informali, sui circa 180.000 rom e sinti residenti nel nostro Paese. Uno 0,06% identificato negli anni precedenti come una “emergenza nazionale” e per il quale l’Italia si è impegnata a stendere davanti all’Europa una Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom.

Carlo Stasolla, presidente Associazione 21 luglio

2014, anno di speranze, ma nessun cambiamento sostanziale nelle condizioni di rom e sinti

Nel 2014 tante le parole, ma pochi i cambiamenti sostanziali che hanno interessato le condizioni di vita dei rom e i sinti in emergenza abitativa in Italia.

A sottolinearlo è il primo rapporto nazionale curato da Associazione 21 luglio e presentato in occasione della Giornata internazionale di rom e sinti. La Strategia nazionale per l’inclusione dei rom, dei sinti e dei eamminanti, così come la volontà di cambiare direzione più volte annunciata dalle autorità, non hanno ancora condotto a un vero mutamento: l’approccio emergenziale non è stato abbandonato continuando, al contrario, a guidare numerosi interventi pubblici. Ne sono un esempio i moltissimi casi di sgombero forzato (oltre 230 nelle città di Roma e Milano), così come la progettazione di nuovi “campi nomadi”.

Le politiche abitative

Al centro delle politiche delle amministrazioni locali continua a essere protagonista la questione abitativa: in tre anni sono già stati costruiti nuovi insediamenti a Roma, Milano, Giugliano, Carpi, mentre e in alcune città italiane del centro-sud, da Latina a Lecce, sino a Cosenza, la stessa ipotesi è in discussione avanzata e i progetti prevedono finanziamenti che superano i 20 milioni di euro.

Nella maggioranza dei “campi nomadi”, seppur sotto il controllo delle autorità, continuano a manifestarsi vari elementi di criticità che in più occasioni li hanno portati a essere riconosciuti come  luoghi di sospensione dei diritti umani.

A fare le spese di queste condizioni di vita sono tutti gli abitanti dei campi, compresi, ovviamente i minori: un bambino cresciuto in un campo avrà possibilità prossime allo zero di accedere a un percorso universitario e anche quelle di frequentare le scuole superiori non supereranno l’1%. In 1 caso su 5 il percorso scolastico non verrà intrapreso affatto. Le difficoltà dei minori non riguardano solo l’educazione: le probabilità per i più piccoli di essere segnalati ai Servizi sociali superano di 60 volte quelle dei coetanei non rom.

Raggiunta la maggiore età, l’abitante del campo avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa dell’appartenenza alla comunità rom o sinta. Persino l’aspettativa di vita risulta mediamente più bassa: 10 anni in meno rispetto al resto della popolazione.

Infine appare molto forte il legame tra le politiche abitative discriminatorie e l’antiziganismo, sentimento molto radicato. Dei 443 episodi di discorsi d’odio contro i rom registrati dall’Osservatorio dell’Associazione 21 luglio, l’87% risulta riconducibile a esponenti politici. Numerosi sono stati gli episodi violenti avvenuti a Poggioreale, Latina, Vimercate, Querceta, Città di Castello, Padova e Acilia che hanno avuto per bersaglio i rom.

Il “caso Roma”

Nel 2014 la Capitale ha fatto molto parlare di sé, diventando emblematica di quanto accade in Italia: il “gioco dell’oca” – come lo soprannomina Associazione 21 luglio – degli sgomberi romani, ben 34 in dodici mesi, ha spinto le comunità a spostarsi da un punto all’altro della città, senza alcun risultato utile a risolvere la questione abitativa e con un notevole spreco di risorse economiche da parte del Comune.

21 luglio ricorda un caso in particolare: il 9 luglio 2014, a seguito dello sgombero forzato in via Val d’Ala, 15 nuclei familiari sono stati trasferiti nell’ex Fiera di Roma e successivamente rimpatriati in Romania; il cerchio si è chiuso con il loro ritorno, a distanza di 9 mesi,  nell’insediamento dal quale erano stati sgomberati. Un’operazione che è costata all’amministrazione locale 170mila euro.

Una maggiore consapevolezza

Nonostante i problemi e le contraddizioni, nel 2014 sembra comunque emergere una maggiore consapevolezza tra gli amministratori sulla necessità di superare definitivamente i “campi nomadi”; allo stesso modo l’opinione pubblica inizia a sviluppare una nuova sensibilità nel condannare episodi di razzismo verso i rom.

Elementi che, secondo Associazione 21 luglio, rappresentano quelle «gocce di speranza da cui potrà prendere finalmente avvio una nuova politica rivolta ai rom e ai sinti che vivono nel nostro Paese e lo sradicamento di quegli stereotipi e pregiudizi negativi diffusi e radicati nei loro confronti».

Oggi, in Italia, vivono circa 180 mila rom e sinti, che rappresentano lo 0,25% della popolazione presente sul territorio nazionale. Il 50% di essi ha la cittadinanza italiana e 4 rom e sinti su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono una esistenza come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero, residente nel nostro Paese. La loro quotidianità, tuttavia, resta quasi sempre sconosciuta agli occhi della pubblica opinione, mentre più visibili, nelle cronache dei giornali e dei commenti degli esponenti politici, sono le circa 40.000 persone che vivono nei cosiddetti “campi” – 1 rom su 5 sul totale dei presenti in Italia.
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