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Associazione 21 luglio: come gli stereotipi diffondono pregiudizi

Le convinzioni errate su nomadismo, cittadinanza a casa sono alla base di un articolo rispetto al quale l’Associazione 21 luglio ha fatto chiarezza, smontando gli stereotipi

A cura di Associazione 21 luglio

Il 24 giugno 2017 è apparso su “Il Tempo” un pezzo di Marcello Veneziani intitolato “La leggenda dei Rom, la realtà degli zingari. Nell’articolo il giornalista deplora come oggi l’informazione di massa, la politica e opinione pubblica si preoccupino di più delle discriminazioni e gli attacchi razzisti subiti dalla comunità Rom in Italia che degli atti criminali di cui molti di loro si rendono spesso colpevoli. Secondo il giornalista, ciò sarebbe il risultato di una cultura del politically correct, che frenerebbe politica e informazione dal raccontare la realtà per quello che è, all’insegna dell’ideologia “buonista”.

Ma in realtà quanto asserisce Marcello Veneziani nel suo pezzo del 24 giugno è a sua volta intriso di stereotipi e pregiudizi sulla realtà della comunità rom residente in Italia. Ecco perché abbiamo elaborato una risposta al suo pezzo, soffermandoci su tre punti in particolare.

1. La “natura nomade” dei rom

È uno dei pregiudizi più diffusi su questa comunità, tanto che il giornalista Veneziani ne attinge a piene mani nel suo articolo, parlando di “natura nomade” e addirittura di “statuto di nomadi”. In realtà, a fronte di una popolazione rom e sinti residente in Italia pari a circa 170-180 mila persone, solo il 3% ha uno stile di vita nomade. Anche per tale etnia, trasferirsi in diverse parte d’Italia è legata a bisogni economici, e non dal movente “culturale”. Parlare di “cultura nomade” è dunque erroneo e pregiudizievole. È altrettanto vero, tra l’altro, che la maggior parte dei Rom – 4 su 5 per l’esattezza – non vive nemmeno nei campi, ma in appartamenti convenzionali, perfettamente integrati nel tessuto sociale e lavorativo del Paese.

2. La cittadinanza dei Rom

“Non dovrebbe la legge italiana, l’autorità, le forze dell’ordine intervenire di conseguenza, prevedendo in questi casi anche espulsioni?”. Così scrive Veneziani. A questo proposito, è bene notare che, tra i rom e sinti residenti in Italia, almeno la metà è in possesso di cittadinanza italiana. Tra quelli che vivono in baraccopoli, la percentuale scende al 37%, rimanendo comunque significativa.
Parlare di espulsioni è scorretto anche in riferimento a rom e sinti di cittadinanza romena o bulgara, in quanto appartenenti alla Comunità Europea e allo spazio Schengen. Si noti inoltre che circa 3,000 persone di etnia rom e sinti, nate e residenti in Italia e principalmente originarie dell’ex Jugoslavia, sono apolidi de facto o a rischio apolidia, e non possiedono alcun documento di identità. Parlare di espulsioni non è dunque plausibile per un buon numero di Rom residenti in Italia.

3. Il diritto alle case popolari

L’articolo deplora infine che i rom possano avere accesso a “case popolari che non siamo in grado di dare gli italiani indigenti”. Su questo punto, vogliamo sottolineare che le case popolari vengono assegnate dai Comuni italiani alle famiglie presenti sulle liste di attesa secondo precisi criteri di vulnerabilità, tra cui non rientra certo l’appartenenza etnica. Pertanto, la retorica per cui i rom priverebbero “gli italiani indigenti” del diritto a una casa popolare è da ritenersi quantomeno imprecisa.
Altrettanto si può riferire all’ipotesi che si costruiscano “per i rom quelle cittadine residenziali che non riusciamo a costruire per i terremotati”. Riteniamo che in questo contesto si stiano fondendo due tipi di emergenze (quella abitativa e quella dei terremotati) molto distanti tra loro e non equiparabili. Compararle in questo modo può quindi risultare ingannevole.

Richiamiamo quindi ad adottare un’informazione e un linguaggio più corretti.

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