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Media e rifugiati: quei naufragi di cui si parla meno

Sbarchi meno presenti nella nostra rassegna stampa, tra luglio e settembre. Gli sviluppi relativi all’omicidio di Fermo non trovano spazio nelle ultime settimane

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In comparazione con i primi nove mesi del 2015, quest’anno la nostra rassegna registra una riduzione delle notizie sull’immigrazione del 18%. Il decremento interessa 8 categorie temutiche sulle 11 analizzate.

Presente con 3.906 articoli pubblicati sui quotidiani cartacei tra il 16 luglio e il 30 settembre 2016, la copertura mediatica dell’immigrazione continua a registrare un calo nel numero di notizie presenti nella rassegna stampa quotidiana Carta di Roma rispetto all’anno scorso (-38%), in linea col decremento rilevato nei mesi precedenti (-35%). La diminuzione appare meno incisiva se inserita nella tendenza annuale: dall’inizio dell’anno gli articoli raccolti nella nostra rassegna sono stati 13.950, il 18% in meno rispetto allo stesso arco temporale nel 2015.

Nel dibattito pubblico così come nell’agenda dei media, dunque, e in particolare in quella delle testate cartacee, migrazioni e migranti continuano a essere costantemente presenti.

I temi del racconto

Restano la cronaca e le politiche dell’immigrazione le categorie sotto le quali è raccolto il maggior numero di articoli.

Il decremento appare generalizzato, con un calo che ha interessato 8 delle 11 categorie tematiche considerate. Gli unici argomenti più trattati rispetto all’anno precedente sono la cultura e la salute, i quali restano tuttavia estremamente marginali nella copertura complessiva (costituiscono insieme il 4% degli articoli).

Le categorie più trattate corrispondono a quelle che hanno risentito maggiormente della riduzione: di rifugiati si è parlato nel 55% in meno dei casi; le politiche dell’immigrazione e il dibattito politico sono state ridotte rispettivamente del 40% e dell’82%. In media col dato generale le notizie di cronaca, diminuite del 33%.

Mediterraneo: quei naufragi di cui si parla sempre meno

Nella prima Giornata nazionale della memoria e dell’accoglienza, dedicata alle vittime delle migrazioni, ci si aspetta che i media dedichino attenzione a coloro che nel Mediterraneo hanno incontrato la morte, come accadde il 3 ottobre del 2013, quando a poca distanza dalle coste di Lampedusa almeno in 368 morirono.

Ma quanto spazio i media hanno dato, invece, ai decessi e agli incidenti avvenuti in nel Mare Nostrum, negli ultimi mesi?

A fronte di un numero di arrivi via mare quasi pari a quello dell’anno scorso (+0,15%), la categoria sbarchi ha ritagliato meno spazio nella nostra rassegna stampa in confronto al 2015. Dal primo gennaio al 30 settembre abbiamo rilevato un -40%, che sale al -36% restringendo l’analisi al periodo luglio-settembre.

Tra gennaio e settembre la tematica degli attraversamenti in mare e, in particolare, delle tragedie che li accompagnano, si è affermata con forza in diverse occasioni: dalla diffusione dei dati sulle tendenze dell’anno, ai singoli casi che hanno visto protagonisti i bambini, fino ai grandi naufragi.

Il dato non deve essere frainteso: di arrivi via mare le testate che rientrano nel campione della rassegna parlano ancora tanto, tuttavia i picchi di attenzione che contribuiscono ad aumentare il numero di notizie appaiono meno numerosi e intensi. Da un lato, di fronte a un fenomeno che riflette, a livello statistico, la stessa tendenza dell’anno passato, gli sbarchi potrebbero iniziare a essere recepiti come episodi di routine dalle redazioni; dall’altro i fatti di cronaca e il dibattito pubblico potrebbero aver orientato l’informazione generalista verso altre categorie.

Più preoccupante il silenzio mediatico che circonda le morti in mare. Nei soli primi nove mesi del 2016 risultano, stando ai dati aggiornati di Unhcr, 3498 morti e dispersi, mentre nell’intero 2015 si era arrivati a contarne 3771 – cifre, queste, che purtroppo possono essere considerate una stima al ribasso, poiché è presumibile che non sempre vi siano testimoni oculari, superstiti, familiari e forze dell’ordine a riportare un incidente o un naufragio. Gli episodi che vedono un numero di vittime inferiore alle due cifre, o persino quelli che ne contano alcune decine, emergono con fatica nei media generalisti: poco lo spazio dedicato loro (e per poco tempo).

Nel corso dell’anno si sono verificate delle eccezioni: come è accaduto a inizio gennaio, quando l’età della prima vittima del 2016 (2 anni) e le morti nei giorni successivi di altri bambini, hanno portato i media a puntare i riflettori sul destino dei più giovani; o come quando, più volte nel corso dell’anno, sono stati diffusi nuovi dati sul crescente numero di vittime.

Le tragedie di ampia portata trovano maggiore spazio, ma in modo ridimensionato rispetto al passato e spariscono dalle pagine dei quotidiani in pochi giorni.

Un richiamo in prima pagina al naufragio del 21/09/16, su L’Avvenire il 23 settembre. L’attenzione mediatica riservata agli incidenti che si verificano nel Mediterraneo è influenzata da numerose variabili.

L’esempio più recente è quello dell’incidente avvenuto il 21 settembre a largo delle coste egiziane. Un’imbarcazione partita da Rosetta è naufragata con circa 450 persone a bordo – stando alle stime Unhcr basate sulle testimonianze dei superstiti: 163 i sopravvissuti, 162 i corpi recuperati, tutti gli altri dispersi.

L’episodio è stato ripreso il giorno successivo da numerosi quotidiani – sebbene non in prima pagina. Già il 23 solo poche testate forniscono aggiornamenti sulla versione cartacea – su Avvenire troviamo un richiamo in prima pagina con l’immagine dei superstiti; il 24 il numero di articoli si fa ancor più esiguo per sparire del tutto dal giorno successivo.

Nonostante vi sia stato un calo generalizzato dell’attenzione verso i naufragi, non bisogna dimenticare le molte variabili che influiscono sulla copertura mediatica di volta in volta: da fattori legati al naufragio stesso (la posizione, il paese che coordina le operazioni, la destinazione dei superstiti e dei feretri) al verificarsi o meno di altri eventi notiziabili in misura maggiore o minore.

Di come è variata nel tempo, invece, la narrativa legata ai naufragi, Open Migration ha parlato qui.

Razzismo, spazio al Fertility Day, ma non agli sviluppi dell’omicidio di Fermo

All’interno della categoria razzismo (rimasta invariata per numero di notizie rispetto allo stesso periodo del 2015) non sorprende l’ampio spazio dedicato dai quotidiani il 22 settembre – Fertility Day – alla gaffe del ministero della Salute, che vede protagonista un volantino diffuso nell’ambito della campagna per la fertilità accusato di essere razzista.

Non succede altrettanto con l’omicidio di Fermo, dopo un mese di luglio caratterizzato da un serrato dibattito sul razzismo, innescato dal fatto di cronaca, gli ultimi sviluppi delle indagini passano quasi inosservati.

Ampio spazio al Fertility Day tra gli articoli che rientrano nella categoria razzismo. Passano quasi sotto silenzio, invece, gli ultimi sviluppi legati al caso dell’omicidio di Fermo.

Il 5 luglio 2016 in seguito a una colluttazione, Emmanuel Chidi Nnamdi veniva ucciso da Amedeo Mancini; a far scoppiare la lite erano stati gli insulti razzisti dell’ultrà fermano rivolti alla moglie della vittima. Le testimonianze erano contrastanti: in una prima versione la moglie di Emmanuel, Chiniary Nnamdi sosteneva che fosse stato Mancini a brandire contro la vittima un palo segnaletico; dopo alcuni giorni modificava il suo racconto, affermando – in accordo con le dichiarazioni di altri testimoni –  che fosse stato Emmanuel sollevare il palo. Il caso, oltre ad accendere il dibattito sul razzismo e sui crimini d’odio, era stato oggetto di un’intensa campagna mediatica; i quotidiani nazionali erano risultati divisi rispetto alla dinamica dell’accaduto e alla presenza dell’aggravante razziale.

A settembre è stato diffuso l’esito della perizia eseguita sul palo metallico: non vi è alcuna traccia di Emmanuel su di esso, mentre sono presenti e consistenti quelle di Amedeo Mancini. Un dettaglio che potrà aver peso in tribunale, ma che per i media mainstream sembra, in questo momento, non averne affatto.

Foto in alto di ©UNHCR/A.McConnel. Un gruppo di rifugiati raggiunge le coste di Lesbo nel 2015, prima dell’accordo UE-Turchia.

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