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La libertà di Gabriele è la libertà del giornalismo. Siamo tutti prigionieri

#iostocongabriele: il giornalista Gabriele Del Grande è in stato di fermo dal 9 aprile in Turchia, dove lavorava al suo prossimo progetto editoriale. La sua storia è quella di tutti noi

Di Giovanni Maria Bellu

Gabriele Del Grande, quando è stato fermato in Turchia, stava facendo il suo lavoro. Quello stesso lavoro che, giovanissimo, aveva avviato col suo blog Fortress Europe. Raccoglieva le notizie, le metteva in ordine, per restituire ai suoi lettori la verità sostanziale dei fatti. Gabriele stava facendo il lavoro di giornalista. Un lavoro che, in alcuni paesi del mondo, è ‘pericoloso’, è ‘eversivo’, in quanto tale.

L’Associazione Carta di Roma è nata per vigilare sul rispetto del codice deontologico che i giornalisti italiani si sono dati nel 2008, quando condivisero la necessità di stabilire delle regole  da seguire quando ci si occupava di immigrati, rifugiati, richiedenti asilo e vittime della tratta. Ci si era accorti che spesso, in relazione a questi argomenti, anziché andare a ricostruire i fatti, ci si affidava a cliché e a pregiudizi. Era dunque opportuno ribadire, con uno specifico codice deontologico, la regola fondamentale.

Gabriele Del Grande la seguiva da prima. Addirittura in modo pedissequo. Nel suo blog non faceva altro che registrare le notizie delle vittime dell’immigrazione.  Giorno per giorno.  Con un metodo che ha fatto del suo blog un punto di riferimento internazionale per  quanti vogliono avere un’idea del numero delle persone che muoiono nel tentativo di raggiungere la Fortezza Europa.

Poi ha cominciato a raccontare le storie delle persone. Ha continuato a tenere la contabilità dei morti, e ha cominciato – con “Mamadou va a morire” – a raccontare le speranze e i sogni dei vivi. “Io sto con la sposa” non è stato altro che l’approdo narrativo di quel lavoro minuzioso e instancabile. Raccontava, divertito, di ricevere telefonate di persone che contattavano Fortress Europe con l’idea di avere a che fare con una organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani. E non con il blog di un giornalista serio e tenace.

La battaglia, che ci auguriamo brevissima, per la sua liberazione non è per noi solo un modo per sostenere un uomo e un collega di rara capacità, di straordinario coraggio e coerenza. È una battaglia per la sopravvivenza dei valori e delle regole che affermiamo. E che sono, dal 2008, i valori e le regole di tutti i giornalisti italiani. Fino a quando Gabriele non sarà libero di fare il suo mestiere, non sarà libero nessuno di noi. La sua storia è la nostra storia. Non può essercene un’altra.

Giovanni Maria Bellu

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