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Non chiamarli “illegali”. Su Twitter l’esperimento di due giornalisti statunitensi

Su Twitter l’esperimento: correggere automaticamente chi scrive “illegal immigrant”

L’idea è stata di Patrick Hogan e Jorge Rivas: creare un Twitter bot (un programma che genera post automatici) che rispondesse a coloro che usano la definizione “illegal immigrant“.

“Le persone non sono illegali. Prova a dire ‘undocumented immigrants‘ o ‘unauthorised immigrants‘, invece”, questo il tweet predisposto dai giornalisti statunitensi di Fusion. Le reazioni, prevalentemente negative, non si sono fatte attendere e l’account, purtroppo, al momento risulta essere sospeso.

Di seguito la traduzione dell’articolo nel quale i due raccontano “l’esperimento”. L’originale è qui.

Abbiamo realizzato un Twitter bot che corregge le persone quando dicono “illegal immigrant

Di Patrick Hogan e Jorge Rivas

Per molti anni è stato considerato socialmente accettabile da alcuni l’uso della definizione “illegal immigrant (o peggio, “illegal alien“) per etichettare le persone che vivono negli Stati Uniti senza un’appropriata autorizzazione.

Ma quei giorni sono finiti. Nel 2015 tutti, dal presidente Barack Obama all’attrice Natalie Portman, si sono abituati a dire “undocumented immigrant” o “unauthorized immigrant al posto dell’obsoleto e offensivo “illegal”. Realtà editoriali come il Los Angeles Times e l’Associated Press hanno chiesto ai loro autori di non usare “illegal immigrant” (a meno che non sia parte di una citazione). Anche la Corte Suprema ha optato per definizioni quali “unauthorized aliens” e “unauthorized workers”, perché esperti legali affermano che “illegal” è semplicemente non accurato.

Così, nel modesto sforzo di aiutare l’America a scrollarsi di dosso parte del suo bagaglio storico, abbiamo creato un Twitter bot che risponde ad alcune delle persone che usano le parole “illegal immigrant”, facendo loro sapere che, nel 2015, i termini da preferire sono “undocumented immigrant” o “unauthorized immigrant. Per evitare di spammare gli utenti, il bot funziona solo ogni dieci minuti e non risponde mai più di una volta alla stessa persona.

Potete vedere il nostro bot in azione all’account @DroptheIBot. Ha già postato oltre 400 repliche.

Finora le reazioni sono state piuttosto negative:

Anche se almeno un utente sembra averlo trovato utile:

Mentre un’altra dice di aver apprezzato il consiglio, ma che avrebbe preferito riceverlo direttamente da una persona e non da un bot.  

Perché è considerato offensivo chiamare le persone “illegal immigrants“? Come il giornalista, registra e attivista Jose Antonio Vargas ci ha spiegato di recente in un’intervista, «le azioni sono illegali, non le persone». Vargas, che ha prodotto nel 2013 il film “Documented”, sulla sua vita come immigrato irregolare, sostiene che il termine “illegal” sia deumanizzante per le persone arrivate negli Stati Uniti senza regolari documenti: «Sono qui illegamente, ma in quanto persona non sono illegale». Vargas, entrato nel paese irregolarmente da bambino, ha fondato un gruppo chiamato “Define American” nel 2011, iniziando poco dopo, insieme a molte altre organizzazioni, a sollecitare l’Associated Press ed altre importanti realtà editoriali affinché smettessero di descrivere le persone come “illegal immigrants“. «Quella definizione resta sospesa nell’aria, permea le conversazioni sui social network come Twitter o Facebook e finisce nelle discussioni quotidiane a lavoro, a scuola, a casa», ha detto Vargas a Fusion.

Rinku Sen, l’editore di Colorlines, che ha lanciato nel 2010 la campagna “Drop the I word”, afferma che la definizione “illegal immigrant” abbia anche una componente razziale.

«La persona indicata con questo termine è sempre di colore, solitamente un uomo latino», ha raccontato Sen a Fusion. «I migranti irlandesi e russi senza regolari documenti con cui ho parlato sono consapevoli di non dover temere di essere marchiati con quella parola e certamente non hanno paura di essere picchiati a morte mentre gli viene gridata contro, come è accaduto a Marcelo Lucero», ha aggiunto Sed, riferendosi a un 37enne proveniente dall’Ecuador ucciso a calci e pugni nel 2008 da un gruppo di adolescenti bianchi di Long Island.

In un paese in cui crimini come questi accadono abitualmente e dove oltre 11 milioni di persone risultano essere prive di regolari documenti, è tempo di smettere di stigmatizzare i migranti attraverso la scelta delle nostre parole.

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