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Rifugiati: dai respingimenti illeciti alla chiusura delle frontiere. Un anno di violazioni dei diritti umani nel rapporto Amnesty

Amnesty: Unione europea incapace di trovare una risposta coerente, umana e rispettosa dei diritti

Centosessanta i paesi e territori analizzati da Amnesty International per il suo ultimo rapporto sui diritti umani. Il report, che racconta le principali criticità e violazioni suddividendole per area geografica, dedica ampio spazio alla crisi rifugiati e al mondo in cui l’Europa la sta gestendo.

Sul fronte delle minoranze etniche, invece, denuncia la permanenza di una discriminazione sistematica nei confronti dei rom, in quasi tutta la regione.

La crisi rifugiati e l’Europa, nel report di Amnesty

L’immagine simbolica del 2015 è stata quella di Aylan Kurdi, un bambino siriano di tre anni, che giaceva morto su una spiaggia turca. Accanto alla sua tragica morte avvenuta a settembre, ci sono state quelle di oltre 3.700 rifugiati e migranti, che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere le coste europee, mentre gli stati membri dell’Eu affrontavano con fatica l’impatto sull’Europa di una crisi mondiale dei rifugiati. Mentre la Turchia ospitava oltre due milioni di rifugiati siriani e altri 1,7 milioni erano in Libano e Giordania, nel corso dell’anno un milione di rifugiati e migranti, molti dei quali dalla Siria, sono entrati irregolarmente nell’Eu. Tuttavia, l’Eu, il più ricco blocco politico al mondo, con una popolazione totale di oltre 500 milioni di persone, si è dimostrata totalmente incapace di trovare una risposta coerente, umana e rispettosa dei diritti.
L’anno è iniziato in modo negativo, poiché i leader europei si sono rifiutati di sostituire l’operazione di ricerca della marina militare italiana “Mare Nostrum” con un’alternativa adeguata, nonostante ampie prove della continua pressione migratoria sulle rotte del Mediterraneo centrale. C’è voluta la morte di oltre 1.000 rifugiati e migranti in una serie d’incidenti al largo delle coste libiche in un fine settimana di metà aprile, per arrivare finalmente a un ripensamento. In un vertice convocato in tutta fretta, i leader dell’Eu hanno convenuto di espandere le attività di controllo delle frontiere marittime dell’Eu dell’operazione “Triton”, gestita dall’agenzia Frontex, e un certo numero di paesi, tra cui il Regno Unito e la Germania, hanno inviato ulteriori navi nella regione. I risultati sono stati positivi: secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, il tasso di decessi lungo le rotte del Mediterraneo centrale è diminuito del nove per cento rispetto al 2014 ma si è comunque attestato a 18,5 decessi ogni 1.000 viaggiatori. Il numero di rifugiati e migranti morti nel mar Egeo è aumentato notevolmente, superando le 700 vittime entro la fine dell’anno; vale a dire circa il 21 per cento di tutti i decessi nel Mediterraneo occorsi nel 2015, rispetto all’un per cento registrato nel 2014.
L’aumento delle morti nel mar Egeo rifletteva la forte crescita del numero di arrivi irregolari via mare in Grecia, a partire dall’estate. In assenza di vie sicure e legali d’ingresso nei paesi dell’Eu, oltre 800.000 persone, nella stragrande maggioranza rifugiati in fuga da conflitti o persecuzioni in Siria, Afghanistan, Eritrea, Somalia e Iraq, hanno intrapreso la pericolosa traversata verso la Grecia. Solo il tre per cento di coloro che sono entrati in Grecia irregolarmente proveniva dalle frontiere terrestri, in gran parte recintate.

Accoglienza alla prova

Le sfide logistiche e umanitarie presentate da questi grandi numeri hanno totalmente devastato il sistema di accoglienza della Grecia, già in difficoltà. Mentre centinaia di migliaia di rifugiati e migranti lasciavano la Grecia e marciavano attraverso i Balcani, in maggioranza con l’obiettivo di raggiungere la Germania, anche il cosiddetto “regime di Dublino”, il sistema comunitario di assegnazione tra gli stati membri della competenza per la valutazione delle domande d’asilo, non era più funzionale. L’incanalamento di rifugiati e richiedenti asilo verso pochi paesi alle frontiere esterne, essenzialmente Grecia e Italia, ha reso impossibile sostenere un sistema che prevedeva l’assegnazione delle responsabilità primarie di trattamento delle domande d’asilo al primo paese dell’Eu in cui era entrato il richiedente. Anche l’accordo di Schengen, che aveva abolito i controlli alle frontiere interne dell’Eu, ha mostrato segni di cedimento, quando Germania, Austria, Ungheria, Svezia e Danimarca hanno deciso di sospendere le sue disposizioni.
Con il crescere della crisi, i leader dell’Eu hanno organizzato un vertice dopo l’altro ma senza alcun risultato. Mentre la Commissione europea cercava invano di proporre misure costruttive per la redistribuzione dei richiedenti asilo e l’organizzazione di strutture di accoglienza lungo il percorso, gli stati membri dell’Eu per la maggior parte hanno vacillato o hanno attivamente ostacolato potenziali soluzioni. Soltanto la Germania ha mostrato una leadership all’altezza della portata della sfida.
Pochi sono stati gli sforzi per aumentare le vie sicure e legali d’ingresso per i rifugiati nell’Eu. A maggio, su proposta della Commissione europea, gli stati membri si sono accordati su un programma di reinsediamento a livello comunitario per 20.000 rifugiati provenienti da tutto il mondo. L’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, aveva fissato a 400.000 il numero di rifugiati siriani che necessitavano di reinsediamento e di altre forme di ammissione umanitaria ma, a parte la Germania, quasi nessun paese dell’Eu si offerto di accoglierne più di qualche migliaio.
 

Il piano di redistribuzione

I leader europei hanno anche fatto fatica a concordare e mettere in atto un meccanismo efficace di redistribuzione in tutta l’Eu dei rifugiati e migranti in arrivo. In un vertice tenutosi a maggio, hanno votato per approvare un programma di ricollocazione per 40.000 richiedenti asilo provenienti da Italia e Grecia, nonostante una forte opposizione da parte di alcuni paesi dell’Europa Centrale. A settembre, il programma è stato esteso a ulteriori 120.000 persone, con un accordo che includeva anche il trasferimento di 54.000 richiedenti asilo giunti in Ungheria. Non essendo mai al primo posto nella lista delle priorità, il piano è naufragato di fronte alle sfide logistiche e alla riluttanza degli stati riceventi a raggiungere gli obiettivi per i quali si erano impegnati: a fine anno, solo circa 200 richiedenti asilo erano stati trasferiti altrove da Italia e Grecia, mentre l’Ungheria si è rifiutata di prendere parte al programma.

Frontiere aperte e chiuse

Man mano che la pressione cresceva, i paesi dei Balcani hanno alternato la chiusura delle frontiere al permesso di passaggio di rifugiati e migranti. Le guardie di frontiera hanno usato gas lacrimogeni e manganelli per respingere la folla quando, ad agosto, la Macedonia ha chiuso per breve tempo il proprio confine con la Serbia e, a settembre, l’Ungheria lo ha chiuso in modo permanente. A fine anno, era attivo un corridoio più o meno regolare, che passava per Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Austria, che rappresentava la sola risposta ad hoc per la crisi, dipendente in tutto e per tutto dalla continua volontà della Germania di accettare l’ingresso di richiedenti asilo e rifugiati. Migliaia di persone hanno dormito all’addiaccio, poiché le autorità lungo il percorso non sono state in grado di fornire loro un riparo adeguato.
L’Ungheria ha aperto la strada al rifiuto di impegnarsi in soluzioni comunitarie condivise per la crisi dei rifugiati. Dopo aver visto un forte aumento dell’arrivo di rifugiati e migranti a inizio anno, il paese ha voltato le spalle agli sforzi collettivi e ha deciso di isolarsi. Ha costruito più di 200 km di recinzioni lungo i suoi confini con la Serbia e la Croazia e ha adottato una legislazione che rendeva praticamente impossibile chiedere asilo ai rifugiati e richiedenti asilo che entravano dalla Serbia. «Pensiamo che tutti i paesi abbiano il diritto di decidere se vogliono avere un gran numero di musulmani nei loro territori», ha dichiarato a settembre il primo ministro ungherese Viktor Orbán.

Indifferenza, ostilità, solidarietà

L’opinione pubblica in tutta Europa ha oscillato tra l’indifferenza o l’ostilità e forti manifestazioni di solidarietà. Le scioccanti scene di caos e povertà lungo la rotta dei Balcani hanno spinto innumerevoli persone e Ngo a colmare le lacune dell’assistenza umanitaria fornita a rifugiati e migranti. Tuttavia, i leader europei hanno scelto in gran parte di ascoltare chi invocava l’odio contro gli immigrati e si preoccupava per la perdita della sovranità nazionale e le minacce alla sicurezza. Per questo, l’accordo politico è stato trovato soltanto sulle misure per rafforzare la “Fortezza Europa”.

Alla larga

Nel corso dell’anno, i vertici europei sono stati sempre più incentrati su misure volte a tenere lontani rifugiati e migranti o ad accelerare il loro ritorno. I leader dell’Eu si sono accordati per creare un elenco comune di paesi di origine “sicuri”, verso cui i richiedenti asilo potevano essere rimandati dopo una procedura accelerata. Hanno convenuto di rafforzare la capacità di Frontex di effettuare espulsioni. E, fattore ancor più significativo, hanno iniziato a prendere in considerazione i paesi di origine e, soprattutto, di transito per limitare il flusso di rifugiati e migranti verso l’Europa. L’esternalizzazione dei controlli migratori dell’Eu verso i paesi terzi ha raggiunto l’apice a ottobre, con la firma di un piano d’azione congiunto con la Turchia. L’accordo essenzialmente prevedeva che la Turchia limitasse il flusso di rifugiati e migranti verso la Grecia rafforzando i controlli di frontiera, in cambio di tre miliardi di euro di aiuti per i rifugiati già presenti sul suo territorio e, ufficiosamente, per chiudere un occhio sulle sue sempre più frequenti imprudenze in tema di diritti umani. L’accordo ignorava il fatto che, nonostante l’esperienza di accoglienza ampiamente positiva di oltre due milioni di rifugiati siriani in Turchia, molti di loro vivevano ancora in condizioni di estrema povertà e quelli che provenivano da altri paesi avevano ben poche prospettive di essere riconosciuti come rifugiati, a causa di un sistema di asilo nel paese tristemente inadeguato. Verso la fine dell’anno sono emerse le prove che la Turchia stava rimandando forzatamente in Siria e in Iraq i rifugiati e richiedenti asilo arrestati nelle sue province al confine occidentale, mettendo ulteriormente in luce il fatto che l’Eu stava limitando l’afflusso di rifugiati e migranti a spese dei loro diritti umani.

La soluzione è lontana

Mentre l’anno volgeva al termine, circa 2.000 persone al giorno stavano ancora entrando in Grecia. Sebbene la capacità di accoglienza nelle isole greche e più avanti lungo la rotta dei Balcani sia aumentata e le condizioni di accoglienza siano migliorate, queste sono rimaste tristemente inadeguate rispetto alla portata del problema. Nonostante non ci siano segnali di un significativo calo del numero di migranti e rifugiati in arrivo nel 2016, l’Eu è ancora lontana dal trovare soluzioni sostenibili e rispettose dei diritti per coloro che cercano rifugio all’interno dei suoi confini, proprio come lo era all’inizio dell’anno.

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