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Diritti umani: il 2016 tra crimini di guerra, muri e hate speech

Il rapporto di Amnesty International 2016 – 2017 fotografa un anno, il 2016, dilaniato dai conflitti armati, dalle parole d’odio e dalla crisi dei rifugiati. L’unica risposta sta nelle “voci coraggiose” a livello internazionale

Nel 2016 sono state almeno 36 le nazioni che hanno respinto illegalmente migranti e rifugiati e almeno 20 i crimini di guerra commessi in altrettanti paesi. Si tratta di alcuni dei dati presentati nel rapporto annuale 2016-2017 di Amnesty International che racconta la situazione mondiale dei diritti umani.

La situazione in Medio Oriente: i casi della Siria e dello Yemen

La gran parte della città più popolosa della Siria, Aleppo, è stata ridotta in macerie dai bombardamenti aerei e dagli scontri per le strade. Secondo quanto riportato nel rapporto di Amnesty, a fine 2016 il conflitto aveva causato oltre 300.000 morti; costretto a lasciare le proprie case oltre 11 milioni di persone, di cui 6.6 milioni rimanevano sfollate internamente e 4.8 milioni avevano cercato rifugio in altri paesi.

Altrettanto grave è stata la situazione in Yemen, dove i bombardamenti aerei hanno preso di mira anche gli ospedali.  “Alcuni attacchi della coalizione si sono configurati come crimini di guerra” scrive Amnesty. Tra le conseguenze ci sono stati due milioni di bambini in condizioni di malnutrizione grave e 18.8 milioni di persone che necessitavano degli aiuti o della protezione delle agenzie umanitarie, secondo le stime dell’Onu.

L’accoglienza in Europa e l’innalzamento dei muri

A giugno il consiglio europeo ha approvato il quadro di partenariato, descritto da Amnesty come “una spinta a esternalizzare la gestione dei flussi migratori in Europa andata di pari passo con misure per limitare, a livello nazionale, l’accesso all’asilo e ai relativi benefici”.

Tra i paesi che hanno in tal senso adottato le misure più drastiche alla frontiera si è collocata l’Ungheria che nel 2016 ha attuato una serie di misure che hanno provocato, si legge nel rapporto, “violenti respingimenti alla frontiera con la Serbia, detenzioni illegali all’interno del paese e pessime condizioni di vita per le persone in attesa al confine”. In vista del referendum per rifiutare il programma di ricollocazione dell’Europa, poi fallito, l’Ungheria ha promosso una retorica xenofoba del “noi contro loro” che, pur rivelatasi inutile per il referendum in sé, ha determinato estenuanti attese per i rifugiati arrivati nel frattempo. Rileva perciò Amnesty come “le procedure d’infrazione, avviate dalla Commissione europea per le molteplici violazioni del diritto comunitario e internazionale in materia di asilo, a fine anno fossero ancora aperte”.

In questo contesto è stata fallimentare, soprattutto dopo il summit di settembre dell’Onu sui rifugiati e i migranti, la gestione dell’accoglienza stessa. Scrive Amnesty: “mentre i leader mondiali non sono riusciti a dimostrarsi all’altezza della sfida, 75.000 rifugiati rimanevano intrappolati nel deserto, in una terra di nessuno tra la Siria e la Giordania”.

La crisi dei rifugiati ha toccato un culmine durante il 2016, infatti a fine dicembre erano circa 358.000 i rifugiati e i migranti che avevano passato i confini per entrare in Europa. Il calo che si è registrato negli arrivi sulle isole greche (da 854.000 a 173.000 persone), è quasi interamente causato dell’accordo per il controllo dell’immigrazione, siglato a marzo tra l’Ue e la Turchia. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha stimato che circa 5.000 persone siano morte in mare nel 2016, una cifra record rispetto alle circa 3.700 del 2015.

Il contesto internazionale e la retorica dell’odio

Con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti nel novembre 2016 si è sdoganato ancor di più un linguaggio politico fondato sulla xenofobia. “L’erosione dei valori dei diritti umani ha prodotto effetti anche più dannosi quando le autorità hanno dato ad altri la colpa dei problemi sociali, reali o percepiti, per giustificare le loro azioni repressive – sottolinea Amnesty – una retorica d’odio, divisiva e disumanizzante, ha liberato gli istinti più cupi della natura umana. Addossando la responsabilità collettiva dei mali economici e sociali a particolari gruppi, spesso minoranze etniche o religiose, chi era al potere ha dato il via libera alla discriminazione e ai crimini d’odio”. Per esempio nel Regno Unito il numero di crimini d’odio è salito del 14 per cento nei tre mesi successivi al referendum di giugno.

La resilienza come risposta

Ma il 2016 è stato anche un anno di azioni coraggiose, come quella del maratoneta Feyisa Lilesa ai Giochi Olimpici di Rio che incrociando le braccia come a portare delle immaginarie manette ha voluto riportare all’attenzione mondiale la persecuzione da parte del governo etiope verso la minoranza etnica degli oromo.

O ancora quella del ventiquattrenne Anas al-Basha, il “clown di Aleppo” che ha scelto di restare nella sua città durante i bombardamenti per i bambini orfani che vi erano costretti. È stato ucciso durante un attacco aereo il 29 novembre.

Il messaggio conclusivo di Amnesty è chiaro: “Tutti possono prendere posizione contro la disumanizzazione, agendo a livello locale per riconoscere la dignità e i diritti uguali e inalienabili di tutti”.

Per consultare le diverse sezioni del rapporto di Amnesty International clicca qui:

Europa
Asia e Pacifico
Medio-Oriente e Africa del Nord
Americhe
Africa

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