di Ejaz Ahmad
Il mondo islamico e l’Italia non sono due realtà separate ma hanno avuto ricchi scambi e interazioni culturali secolari. Prima dell’attacco alle torri gemelle, il tragico 11 settembre, l’approccio e la riflessione sull’islam faceva parte di alcuni ambienti elitari, come istituzioni, finanza, l’imprenditoria nel campo dell’energia e le università, ma la gente comune non sapeva molto e non aveva moti d’interesse per mondo percepito come esotico e lontano.
Esiste una chiara impronta arabo – islamica nella cultura e lingua italiana. L’Italia e il mondo islamico sono divisi solo da settanta chilometri di mare ma la conoscenza reciproca nella sfera popolare è divisa da un muro invisibile costruito da pregiudizi, stereotipi e preconcetti da entrambe le parti.
Dopo l’11 settembre niente è come prima. L’occidente scopre l’islam come un’entità e un nemico nascosto sotto il letto. Inizia un nuovo approccio all’islam da parte delle istituzioni e per la prima volta la gente comune richiede informazioni. Nasce un nuovo dizionario e lessico, anche se approssimativo. Improvvisamente nascono opinioni e si mescolano concetti ed identità. Il risultato ahimè è una nuova non conoscenza che porta ad un pregiudizio nazional-popolare strutturato su condanne, giudizi, etichette purtroppo da ambo le parti. Tutti contemporaneamente si sentono sotto accusa e sotto attacco.
Adesso in Italia si usano facilmente termini mai usati prima per definire un musulmano: arabo, jihadista, talibano, mujahidin, Bin Laden, Osama, taglia gole, presunto terrorista, barbuto, fondamentalista, estremista, religioso, imam, foreign fighter, misogino, islamico, clandestino, kamikaze (parola giapponese per definire il martire, ma non c’entra niente con l’Islam), sciita, sunnita, predicatore d’odio, poligamia, extracomunitario, pericoloso, espulso, califfo, sceicco.
Prima dall’11 settembre ci si chiamava pakistano, marocchino e algerino o si utilizzava qualche altro aggettivo.
Per definire una donna musulmana abbiamo l’ampia scelta: burqa, velo, burqini, sottomessa, hijab, niqab, chador, infibulata, matrimonio combinato forzato, onore della famiglia, occidentalizzata, occhi bassi, araba.
Per definire l’islam abbiamo: Corano, haram, paesi arabi, jihad, spada, Deash, Isis, Mecca, pellegrinaggio, ramadan, macellazione degli animali, terrorismo, sura, guerra santa, petrolio, sunnah, hadit, preghiera, paradiso, settanta vergini, sottomissione, martirio, kebab, Allah Akbar (Dio e Grande), Maometto (Profeta Muhammad).
Per la moschea: garage, scantinato, capannone, covo, associazione culturale, minareto…
Molte di questi termini sopra nominati vengono utilizzati solo in Italia e non nel mondo islamico. L’islam ha una ricchissima storia e realtà molto composite: ci sono più di 54 stati di cultura e religione islamica, tante lingue e modi di vivere ma in occidente tutto questo viene omesso perché è faticoso e impegnativo conoscerlo e sembra quasi rischioso trovare tratti comuni.
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Ci sono alcuni giornali ed alcuni giornalisti, a cui la parola etica fa venire l’orticaria solo a sentirla. Sono quelli che pensano che la libertà di parola sia libertà di seminare odio, di scrivere fatti che nulla hanno a che vedere con la realtà e che esistono solo nella logica della propaganda di certa politica.
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