Si chiama Tarjimly ed è un chat bot, un programma che permette a rifugiati e migranti di connettersi su Messenger con interpreti volontari da tutto il mondo per ottenere traduzioni simultanee utili a comprendere medici, operatori umanitari e legali o anche solo per orientarsi nella quotidianità.
Il servizio, a oggi disponibile in 8 lingue (inglese, francese, arabo, farsi, turco, urdu, tedesco e pashto), mette in rete oltre 1500 traduttori e consente ai rifugiati che hanno bisogno di proteggere la propria identità di usufruirne anonimamente.
A ideare il programma un gruppo di tre amici, laureati al Massachusetts Institute of Technology (Mit) negli Stati Uniti. «Quello della traduzione è un enorme problema – afferma sul suo profilo Facebook Atiif Javed, cofondatore di Tarjimly – vorremmo far leva sui milioni di persone che al mondo parlano arabo, inglese, farsi e altre lingue, in modo da dar l’opportunità di mobilitarsi costruttivamente e aiutare».
Oltrepassare le barriere, innanzitutto linguistiche, fornendo una soluzione tecnica a un problema logistico è stata la spinta propulsiva dietro al progetto lanciato il 31 gennaio: «Tarjimly può essere un programma per combattere il Muslim Ban e la crisi dei rifugiati» ribadisce Javed, semplicemente agevolando la comprensione nella comunicazione.
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