Era solo questione di tempo prima che il web facesse suo e diffondesse l’allarme ebola lanciato da alcuni quotidiani. Con il virus ebola, internet – e in particolare i social network – aveva già dato prova di essere in grado di prendere una notizia falsa, arricchirla con fatti e dettagli inventati e farla credere vera da un pubblico molto più ampio rispetto a quello raggiunto da una testata giornalistica. Era accaduto ad aprile, quando la notizia di un fantomatico primo caso di ebola in Italia aveva fatto il giro di blog e piattaforme social (Carta di Roma ne aveva parlato qui) ed era stata addirittura ripresa dai media.
A distanza di qualche mese la storia si ripete: dopo settimane di allarmi ebola infondati sulle pagine dei giornali italiani, su Facebook ha fatto la sua comparsa un post che denunciava tre casi di ebola a Lampedusa, con tanto di foto nella quale si mostrava un volto sfigurato dalla malattia. La falsa notizia è iniziata a circolare in maniera incontrollata rimbalzando da una pagina web all’altra e facendo scatenare i complottisti con le più varie teorie. La gravità delle reazioni e la grande portata del post hanno portato a un rapido intervento della Polizia postale che è riuscita a individuare l’autore del post (e della foto modificata) e ad arrestarlo. L’uomo, un quarantenne residente a Torino, ha confessato subito il reato commesso. Di questo ultimo falso allarme parlano oggi “La Sicilia” e “Giornale di Sicilia”: «Ebola, tre casi a Lampedusa, falso allarme su Facebook», «Sul web ipotesi di morti a Lampedusa».
La Polizia postale ha rimosso la notizia da oltre 27mila profili Facebook sui quali era stata condivisa. Il danno, tuttavia, è fatto: in tanti continueranno a credere che l’ebola sia arrivata in Italia, nonostante le comunicazioni ufficiali del ministero della Salute, il quale aveva già detto e ribadito che il rischio è nullo. La responsabilità, in parte, può essere attribuita anche a quelle testate che hanno creato terreno fertile per la diffusione di questa bugia, lanciando allarmi sanitari infondati e dimenticando di riportare le comunicazioni istituzionali in cui si chiarisce l’assenza di rischi per l’Italia e si descrivono le misure di prevenzione e sicurezza già prese da tempo.
Stamattina su Libero leggiamo: «Primo caso di ebola in Europa. Ed esplode il panico profughi». Viene chiarito solo nel sommario e poi nel testo che si tratta di un missionario spagnolo, il quale ha contratto il virus ebola in Liberia. Il prete, infatti, lavorava in un ospedale di Monrovia a stretto contatto con i pazienti affetti dalla febbre emorragica; è stato rimpatriato a bordo di un aereo militare per poter essere curato in Europa. L’epidemia resta circoscritta a Libera, Sierra Leone, Guinea e Nigeria; l’Italia in questi paesi non effettua collegamenti diretti, fatta eccezione per Lagos, in Nigeria. Titoli di questo tipo, anche se accostati ad articoli dai contenuti non allarmistici, trasmettono al lettore un’idea distorta della realtà.
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Ci sono alcuni giornali ed alcuni giornalisti, a cui la parola etica fa venire l’orticaria solo a sentirla. Sono quelli che pensano che la libertà di parola sia libertà di seminare odio, di scrivere fatti che nulla hanno a che vedere con la realtà e che esistono solo nella logica della propaganda di certa politica.
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