Il lavoro al banco della frutta, l’attesa nel traffico per pulire il vetro, la sosta fuori il ristorante immaginando di essere dentro con la propria famiglia, sono solo alcuni dei momenti vissuti dal bambino protagonista del cortometraggio “Omar”, realizzato da Massimo Cerbera, che ha vinto la terza edizione del concorso “Fammi vedere”.
L’iniziativa è stata promossa dal Cir (Consiglio Italiano dei rifugiati) e sostenuta da Mediterranean Hope della Fondazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Il concorso era rivolto a chiunque volesse raccontare per immagini il proprio punto di vista sul mondo dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
I pochi centesimi di mancia, la mela mangiata a bordo campo guardando i giochi spensierati degli altri, i mille espedienti per sopravvivere ogni giorno sono raccolti in una scatola di latta, colma di ricordi, dolorosi, troppo grandi per un bambino. Il regista Cerbara, con “Omar”, racconta così la giornata di un bambino immigrato, in 2 minuti e 12, senza parole, con il solo linguaggio cinematografico, chiudendo con il bambino che tiene stretto a sé un inaspettato orsacchiotto, l’immagine sosta per qualche secondo in più sullo schermo, inducendo a domandarsi quale sia la propria responsabilità in quanto accade ogni giorno.
La giuria del concorso “Fammi vedere” era composta da: Laura Delli Colli, Monica Guerritore, Roberto Faenza, Gabriele Lavia, Enzo D’Alò, Mario Morcone, Pasquale Scimeca, Carlo Brancaleoni, Mimma Nocelli, Giancarlo Loffarelli, Rachid Benajd, Gian Mario Gillio, Hermes Mangialardo, Silvia Costa, Ivan Silvestrini, Pino Corrias, Ninni Bruschetta, Valerio Cataldi, Walter Veltroni. Della giuria fanno parte anche Roberto Zaccaria, Christopher Hein e Fiorella Rathaus (presidente, portavoce e direttrice del Cir).
Durante la premiazione del cortometraggio Roberto Zaccaria, presidente del Cir, ha dichiarato: «ci sembra molto significativo che il primo e secondo premio siano andati a cortometraggi che vedono protagonisti dei bambini. È impressionante pensare a bimbi di 7-8 anni che hanno affrontato da soli la traversata del deserto e del mare. Un problema complesso a cui dobbiamo dare risposte di accoglienza e integrazione, che possiamo costruire anche grazie ai racconti che – come quelli premiati – riescono a parlarci lievemente di incontri, necessità e aperture».
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