Nelle giornate del 3 e del 4 luglio, si è svolta a Olbia, in Sardegna la Prima Conferenza Regionale sull’Immigrazione, una occasione di confronto e di scambio per le organizzazioni –istituzioni regionali e locali, associazioni del terzo settore, istituti di ricerca, professioniste/i del mondo dell’informazione, rappresentanti religiosi, cittadini e cittadine rappresentanti delle comunità e delle diaspore – sul tema della mobilità umana “componente fondamentale e distintiva della storia passata e presente della Sardegna”, come si legge nella dichiarazione di chiusura dei lavori. L’associazione Carta di Roma è stata coinvolta nell’iniziativa collaborando all’organizzazione di alcuni degli incontri che hanno sottolineato il ruolo dell’informazione e l’importanza della conoscenza del fenomeno migratorio.
La Sardegna, terra storicamente di emigrazione, negli ultimi decenni è divenuta terra di immigrazione, nel territorio oggi sono presenti 31.000 persone “lungo soggiornanti” di 25 nazionalità, pari al 3,5% della popolazione; Marocco, Senegal e Romania sono le comunità più numerose e 2.000 le acquisizioni di cittadinanza, “un popolo nel popolo”, come ha affermato Desiré Manca, assessora del lavoro, formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale della Regione Autonoma della Sardegna.
Un sentirsi parte della comunità che inizia nei percorsi scolastici, che dovrebbe proseguire nel mondo del lavoro e nell’accesso ai servizi fondamentali come quello della salute e della casa, questioni cruciali per migliorare i bisogni e le istanze di tutti coloro che si trovano in una condizione di vulnerabilità.
Gli interventi dei rappresentanti delle differenti comunità hanno evidenziato la necessità di un’alleanza con le istituzioni e con le organizzazioni “per valorizzare le competenze e i talenti dei cittadini dei paesi terzi, cercando di rimuovere le barriere al riconoscimento dei titoli, all’accesso al credito, all’avvio di impresa”. Abbiamo ascoltato Shatenik Shirirignan di origine armena, giunta in Italia dopo anni di studi e specializzazioni in Russia, Germania e Norvegia, ma non riconosciuti nel nostro Paese. Stessa difficoltà per Whaiba Abouadouane originaria del Marocco, che non è riuscita a convertire il suo diploma di laurea in ingegneria informatica in un titolo equivalente per il sistema italiano.
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Barriere che si estendono a numerosi ambiti, “guardate alla composizione del mondo dell’informazione, quanti siamo a svolgere la professione giornalistica con una iscrizione all’ordine dei giornalisti, con background migratorio? Forse quindici, venti in tutta Italia”, racconta la giornalista Leila Belhadj Mohamed. Barriere che alcune realtà accademiche stanno cercando di abbattere come a Sassari dove si lavora costruendo alleanza con gli studenti, in particolare con quelli con background migratori che divengono ambasciatori della Sardegna nel resto del mondo, come ha raccontato la professoressa Silvia Serrelli, professoressa ordinaria del dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Universita degli studi di Sassari, delegata dal Rettore per i corridoi universitari, la cooperazione con i territori e migrazioni.
Un percorso di conoscenza che passa anche attraverso la qualità dell’informazione: conoscere i contesti di partenza, dal Sud Sudan al Mali, come ci ricorda Cornelia Toelgyes attraverso i reportage di Africa Express, o ancora l’uso delle parole, come sottolinea Laura Silvia Battaglia “forse la parola delle migrazioni per il 2025 sarà esternalizzazione, o qualcosa di diverso che scopriremo per dare un nuovo nome a ciò che sta accadendo in diversi parti del mondo: spostare fuori, deportare”.
C’è stato un tempo in cui la terra apparteneva a tutti e si era liberi di muoverci. Nel tempo abbiamo deciso che non sarebbe stato più possibile. Nonostante i divieti di viaggio, le persone hanno sempre continuato a muoversi e continueranno a muoversi. Se leggessimo i tempi e fossimo in grado di guardare al futuro ci accogeremmo che stanno cambiando i pesi demografici e economici e che la mobilità internazionale aumenterà nei prossimi 20 anni. Come faremo fronte a tutto questo? Saremo in grado di facilitare questo processo o continueremo a erigere muri e favorire le condizioni per sfruttamento e criminalità organizzata collegata ai flussi migratori. L’alternativa esiste e passa per la liberalizazzione dei visti. Questa la domanda posta da Gabriele Del Grande, giornalista, scrittore e attore, con il monologo “Il secolo è mobile” portato in scena a Olbia in occasione del forum Immigrazione. Insieme a lui abbiamo compiuto viaggio per immagini e parole tra la storia e il futuro delle migrazioni in Europa per provocarci con questa visionaria proposta.
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