Su Rete Nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio
Alla cortese attenzione della Presidente del Senato,
Senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati
P.c. alla c.a. dei/delle Capigruppo al Senato
Il 4 novembre dello scorso anno la nostra Rete – cui aderiscono studios* di rilevanza internazionale, università e dipartimenti universitari, e le più importanti realtà che da diversi anni si occupano di mappare, prevenire e combattere i discorsi ed i fenomeni d’odio – salutò con grande soddisfazione l’approvazione da parte della Camera del testo unificato di proposta di legge, con primo firmatario l’On. Zan, denominato ”Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità”.
L’approvazione arrivò, finalmente, dopo la parziale sospensione dei lavori delle Camere dovuta all’emergenza Covid nel corso del 2020, e – soprattutto – dopo che due proposte di legge contro l’omofobia furono sottratte al dibattito parlamentare durante la XVI legislatura, nel 2009 e nel 2013. E fu accolta con grande entusiasmo anche perché l’Italia era molto in ritardo, rispetto a molti altri paesi, nell’accogliere le raccomandazioni delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa e di vari documenti di soft e hard law dell’Unione Europea in tema di diritti umani delle persone LGBTI+ e di contrasto alla misoginia.
Come già avviene in molti paesi, dalla Francia alla Germania, dall’Austria alla Svizzera, il disegno di legge Zan propone – come è noto – la perseguibilità di reati motivati da stigma (in particolar modo nei confronti delle persone omosessuali, transessuali, e disabili) insieme all’introduzione di strumenti di prevenzione del crimine e di assistenza alle vittime di questi reati. La proposta di legge riguarda infatti l’estensione della punibilità già prevista dagli artt. 604 bis e 604 ter c.p. per le condotte di commissione di atti discriminatori o istigazione alla commissione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi, anche alle medesime condotte per motivi di genere, sesso, identità di genere, orientamento sessuale e disabilità.
Alla luce delle contestazioni, anche plateali, che hanno accompagnato l’iter dell’approvazione nel primo ramo del Parlamento, occorre precisare che il testo approvato dalla Camera non punisce idee, opinioni e manifestazioni di pensiero, bensì condotte: il testo licenziato dalla Camera il 4 novembre del 2020 reprime infatti l’istigazione a commettere reati di discriminazione (i c.d. discorsi che incitano all’odio) e la commissione di reati fondati sulla discriminazione, ossia i comportamenti aggressivi motivati da discriminazione, come chiaramente emerge dalla lettera del disegno di legge, e in particolare dal suo art. 4.
Sottolineiamo inoltre l’importanza degli strumenti di prevenzione e di sostegno alle vittime che sarebbero finalmente introdotti nel nostro ordinamento con la definitiva approvazione del disegno di legge, ovvero: a) la previsione di stanziamenti a favore dei centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, per prestare assistenza legale, sanitaria, psicologica e materiale alle vittime dei reati di odio e di discriminazione; b) l’inserimento nell’offerta formativa scolastica di programmi di sensibilizzazione nei confronti di questo tipo di discriminazioni; c) il riconoscimento del 17 maggio quale giornata nazionale contro l’omofobia, dedicata alla promozione della cultura del rispetto e dell’inclusione nonché al contrasto dei pregiudizi e delle discriminazioni.
Come sappiamo dal nostro costante lavoro di monitoraggio e contrasto alle discriminazioni, in Italia esiste un serio problema di discriminazione verso le persone omosessuali, transessuali e disabili, nonché un sistema di arretratezza culturale e sociale nei confronti delle donne che fomenta misoginia, violenze e femminicidi. Una realtà che è sotto gli occhi di tutti, come purtroppo ci ricordano le gravissime aggressioni omofobe che spesso si verificano lungo tutta la Penisola, e l’agghiacciante e pressoché giornaliera cronaca riguardante i femminicidi.
L’approvazione del disegno di legge anche da parte del Senato permetterebbe di dotare la magistratura di norme adeguate e le vittime di una tutela legale dei loro diritti, e consentirebbe finalmente l’avvio di percorsi culturali e sociali volti a rimuovere alla radice i pregiudizi discriminatori.
Come Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e fenomeni d’odio auspichiamo pertanto che il Senato proceda speditamente all’esame del disegno di legge e alla sua approvazione, sia per porre rimedio alla lacuna normativa e alla mancanza di tutela contro i crimini d’odio e i discorsi d’odio con riguardo al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e all’abilismo, sia per attuare il dettato costituzionale della pari dignità delle persone e in ossequio alle Convenzioni europee e internazionali, verso l’affermazione di una cultura del diritto e della prevenzione dei fenomeni d’odio come risposta ferma e duratura al culto della violenza e alle prassi discriminatorie.
Ci preoccupa, tuttavia, la possibilità che la determinante votazione di “non passaggio agli articoli”, che avrà luogo il 27 ottobre 2021, possa avvenire – a seguito di richiesta inoltrata da un gruppo di senatrici e senatori – a scrutinio segreto. Riteniamo, infatti, che l’importanza sociale del provvedimento in discussione giustifichi, da parte Sua, una scelta di prevalenza sul contenuto del decreto che La induca, così come era già avvenuto nella discussione parlamentare riguardo le unioni civili, a negare tale opzione ponendo tutte le forze politiche di fronte ad una chiara presa di posizione di fronte all’elettorato e alla società civile.
Certi che queste nostre brevi annotazioni saranno tenute in considerazione voglia accogliere i nostri più cordiali saluti.
p. Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai crimini d’odio
il coordinatore, Federico Faloppa
Di Giovanni Maria del Re su Avvenire
Quattro ore e mezzo. Tanto è durata la discussione, accesissima, dei 27 leader sulle migrazioni, tema dominante ieri al secondo giorno del Consiglio Europeo. A tener banco anzitutto la questione dei «muri» che dovrebbero – secondo un gruppo di Stati – esser finanziati dall’Ue. I più accesi sono i Paesi dell’Est che confinano con la Bielorussia: il dittatore di Minsk Aleksandr Lukashenko attira sempre più migranti per poi spingerli verso l’Ue, come «arma» contro l’Europa che lo sanziona per la repressione dei dissidenti. La Bielorussia viene citata con la promessa di nuove misure restrittive Ue.
Alcuni Paesi, come Polonia e le Repubbliche baltiche hanno già iniziato a costruire muri al confine. Già un mese fa dodici Stati (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia) hanno scritto a Bruxelles chiedendo finanziamenti Ue per realizzarli. Ieri sono tornati a farlo. «Abbiamo urgente bisogno di barriere fisiche – ha dichiarato il presidente lituano Gitanas Nauseda – di fronte a quello che fa Lukashenko.
Nessuno sa che cosa accadrà domani, potremmo trovarci di fronte a 3-4-5.000 migranti che provano a passare il confine tutti assieme o in punti diversi». «Abbiamo chiaramente bisogno – ha avvertito anche il neo cancelliere austriaco Alexander Schallenberg – di contromisure alla frontiera, con droni, recinti o qualcosa del genere cofinanziati dall’Ue».
Questi Paesi hanno ottenuto l’aggiunta di un paragrafo-chiave nelle conclusioni del vertice – le cui bozze sono state riscritte varie volte – dalla formulazione ambigua – che cercheranno di vendersi come apertura: si chiede alla Commissione di proporre «i necessari cambiamenti legislativi» al sistema giuridico Ue e «misure concrete sorrette da adeguato sostegno finanziario per assicurare una risposta immediata e appropriata in linea con gli obblighi internazionali, incluso i diritti fondamentali».
In realtà, ha precisato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, «sono stata molto chiara che non ci saranno finanziamenti Ue per fili spinati o muri». Molti altri leader sono contrari, tra cui l’Italia. Su un punto però sono tutti d’accordo: la necessità di «un controllo efficace delle frontiere esterne».
A rischio è la tenuta stessa dell’area senza frontiere di Schengen, messa già a dura prova dalla crisi migratoria del 2015. «Guarderemo alle necessarie misure legali per migliorare la situazione – ha assicurato Von der Leyen – apportando modifiche al codice sullo spazio Schengen che sarà sul tavolo come nuova proposta».
L’altro punto che ha tenuto banco è quello dei movimenti secondari, che preoccupano Stati come Germania, Belgio, Olanda. Soprattutto quest’ultima chiede all’Italia di impedire che i migranti approdati sulle sue coste proseguano poi verso il Nord Europa. Le tensioni sono state forti, alla fine però si è trovato il compromesso. Il testo delle conclusioni afferma sì che «bisogna mantenere gli sforzi per ridurre i movimenti secondari», tuttavia l’Italia ha strappato un’aggiunta importante, e cioè che si tratterà anche di «assicurare un giusto equilibrio tra responsabilità e solidarietà tra Stati membri».
Nel complesso, comunque, l’impressione è che la discussione abbia almeno rafforzato la sensazione dell’urgenza di soluzioni comuni, con l’occhio rivolto al Patto sulla migrazione proposto dalla Commissione Europea e per ora bloccato soprattutto sul fronte proprio della solidarietà e della ridistribuzione dei migranti. «Posso dire – ha dichiarato il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel – che questa volta ho avuto l’impressione che vi fosse una convergenza sempre più ampia».
Di Francesco Bechis su Formiche
A fine giornata c’è il compromesso, e non era scontato. Ma nel comunicato finale manca una parola chiave: solidarietà. Il Consiglio Affari interni straordinario dell’Ue sull’Afghanistan si chiude senza grandi battaglie.
La nota conclusiva si apre con una premessa: a dispetto dell’ultimatum dei talebani, l’evacuazione da Kabul continua: “È in corso un lavoro intenso per identificare soluzioni mirate per i casi specifici rimasti di persone a rischio in Afghanistan”.
Cittadini europei, collaboratori afgani delle forze armate dell’intelligence, o semplicemente persone che rischiano la propria vita. Come le 82 studentesse afgane dell’università de La Sapienza che, ha confermato oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini al Copasir, il governo italiano cercherà di strappare alle ritorsioni dell’Emirato islamico.
Poi i due grandi nodi, sciolti solo a metà. Il primo: l’accoglienza. Sullo sfondo del Consiglio aleggia lo spettro del 2015, quando una ciclopica ondata di migranti dalla Siria ha trovato impreparata l’Europa e causato un’ecatombe nel Mediterraneo.
Il comunicato dei Paesi Ue non sposa il motto “aiutiamoli a casa loro”, ma ci si avvicina molto. L’Ue vuole aiutare i rifugiati afgani “vicino” a casa loro: Pakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Iran, ovunque riescano a trovare riparo. “L’Ue si coordinerà e rafforzerà il suo supporto ai Paesi terzi, in particolare a quelli confinanti e di transito, che ospitano un largo numero di migranti e rifugiati, per rinforzare le loro capacità di offrire protezione, condizioni di accoglienza dignitose e sicure, e uno stile di vita sostenibile per rifugiati e comunità accolte”.
È questa la via di mezzo che ha permesso l’accordo con quei Paesi dell’Europa centro-orientale, su tutti Austria, Lituania e Polonia, che hanno alzato le barricate sull’accoglienza dei rifugiati, complice la pressione elettorale interna. Di qui il passaggio successivo: “L’Ue coopererà con questi Paesi per prevenire l’immigrazione illegale dalla regione, rafforzare la gestione dei confini e impedire il traffico di migranti ed esseri umani”.
L’azione “coordinata e ordinata” dell’Unione ai nuovi flussi migratori si costruirà su tre punti. Controllo delle frontiere con Frontex, aiuti ai Paesi confinanti e “campagne mirate di informazione” per combattere “le narrative usate dai trafficanti”. Oltre ovviamente a controlli serrati dell’Europol per evitare che nella marea di rifugiati si celino terroristi pronti a colpire in Europa. Poi il secondo nodo: gli aiuti finanziari.
La linea di fondo è semplice: i fondi Ue per il sostegno degli afgani non dovranno finire in mano ai talebani. Saranno destinati all’Onu e alle sue agenzie: una garanzia in più per assicurare che i militanti a Kabul non impediscano il loro lavoro umanitario sul campo. Solo così, si legge nella nota, l’Ue potrà “garantire che l’aiuto umanitario raggiunga le popolazioni vulnerabili, in particolare donne e bambini, in Afghanistan e nei Paesi limitrofi”.
Sulla carta l’intesa c’è. E nero su bianco è scritto, con buona pace dei Paesi membri barricadieri, che gli afgani oggi sono “asylum seekers”, rifugiati. Ora inizia la parte più difficile.
Scaduto il termine fissato per l’evacuazione, e partito l’ultimo aereo statunitense, l’aeroporto Hamid Karzai è in mano ai talebani e, ammonisce il Pentagono, attualmente non c’è supporto per aerei in entrata e in uscita da Kabul. A questo punto la palla passa agli Stati membri, che dovranno negoziare singolarmente con i militanti afgani la possibilità di proseguire l’espatrio di connazionali e persone a rischio. C’è chi, come la Germania, ha già attivato i canali. Così hanno fatto anche gli Stati Uniti: secondo la Cnn l’esercito americano ha negoziato un accordo con i talebani per “scortare” all’aeroporto gli americani rimasti sul campo.
Un articolo di Stefano Vespa su Formiche
Uno schiaffo agli egoismi europei a 80 anni dal Manifesto più europeista. Sergio Mattarella ne ha per tutti e su tutto: politica migratoria, accoglienza degli afghani, necessità di strumenti di politica estera e di difesa, antieuropeisti definiti “antipatizzanti”, unione finanziaria, intervenendo con parole raramente così dure al seminario per la formazione federalista europea in occasione dell’80° anniversario del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
La tragedia dell’Afghanistan e le conseguenze sui flussi migratori che nel Mediterraneo stanno nuovamente mettendo l’Italia a dura prova sono sotto gli occhi di tutti. Per il Presidente della Repubblica è “sconcertante” che tutti esprimano solidarietà nei confronti dei diritti degli afghani “che rimangono là” perché “questo non è all’altezza dell’Europa” il cui complesso di valori è il “contributo dell’Europa alla comunità internazionale”. Secondo Mattarella, la perdita di libertà anche in un Paese lontano incide sul resto del mondo proprio perché la libertà e i diritti fondamentali “non sono confinabili in un solo territorio”.
È sull’immigrazione che il presidente è estremamente chiaro: “Si parla tanto di confini esterni dell’Unione, ma la politica migratoria non è mai diventata una politica dell’Unione europea. Questa lacuna non è all’altezza dei ruoli e delle responsabilità dell’Ue”. Alla vigilia di un mese di settembre nel quale il governo italiano tornerà a porre la questione a Bruxelles, Mattarella manda un messaggio diretto: “So bene che molti paesi sono frenati da preoccupazioni elettorali contingenti, ma così si finisce per affidare la gestione delle migrazioni agli scafisti e ai trafficanti degli esseri umani” aggiungendo che bisogna avere la “responsabilità” di spiegare alle pubbliche opinioni che non è ignorando il fenomeno che lo si governa.
Un messaggio diretto alla politica italiana e a tutti i Paesi europei, compresi quelli che pensano di essere lontani dall’origine del problema: “Bisogna spiegare che non tra un secolo ma tra venti-trent’anni la differenza demografica sarà tale da dar vita a un fenomeno migratorio scomposto che non si limiterà ai paesi di riviera ma giungerà in tutto il continente fino ai paesi scandinavi”. Quindi, il fenomeno va governato insieme, anche con le altre parti del mondo, con un “dialogo collaborativo” perché “solo una politica di gestione comune dell’immigrazione può evitarci di essere travolti da un fenomeno incontrollabile”.
La débacle americana, come The Economist ha definito la gestione della crisi afghana da parte di Joe Biden, sta intensificando il dibattito su ruolo della Nato, sulle nuove scelte statunitensi e sulle decisioni che l’Unione deve assumere: “L’Europa deve dotarsi di strumenti di politica estera e di difesa comune” ha detto Mattarella, una scelta che sarebbe “importante anche per gli Usa perché in un mondo in cui i protagonisti internazionali sono sempre più grandi, il protagonista più vicino agli Usa credo debba avere una maggiore capacità operativa”. “L’Afghanistan ha messo in evidenza la scarsa capacità di incidenza dell’Ue sugli event” e anche “le conseguenze del crollo della Siria le ha subite tutte l’Europa”. Ciò non toglie che la Nato resta un “pilastro fondamentale dell’Italia e dell’Europa”.
Per tutti questi motivi, secondo il presidente della Repubblica la Conferenza sul futuro dell’Unione è “un’occasione storica da non perdere” evitando il rischio che venga banalizzata, tradotta in uno scialbo esame della situazione contingente”. L’Unione “non tornerà indietro”, “i gelidi antipatizzanti si diano pace” e tanti strumenti messi in atto negli ultimi tempi, come quelli per reagire alla pandemia, rappresentano una svolta e “resteranno” come il Next generation Eu.
“Occorre trovare una formula che adegui quella della sovranità nazionale” e “una sovranità condivisa è l’unico modo per affrontare le sfide globali e non è una rinuncia”. Un tema scottante considerando le sempre maggiori chiusure avanzate dai Paesi sovranisti e da quelle forze che vi si riconoscono. “In questi anni agli interlocutori stranieri ho detto che i paesi Ue si dividono in due categorie: i paesi piccoli e i paesi che non hanno compreso di essere piccoli, ma cominciano a comprenderlo”. Nel Manifesto di Ventotene è scritto che “l’evoluzione dei rapporti economici mondiali fa sì che lo spazio vitale di un popolo sia ormai il globo: oggi con i mutamenti che conosciamo quella considerazione appare profetica” ha commentato Mattarella, per il quale l’Unione europea “non può avere una moneta unica, una banca centrale e non avere una vera unione bancaria e un vero sistema finanziario unitario. Se così non sarà, quello che abbiamo costruito fino a oggi rischia di essere compromesso da quello che manca”.
L’intervento del presidente rappresenta anche un sostegno agli sforzi di Mario Draghi tesi a organizzare un G20 allargato al massimo così come alle discussioni in atto per la gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo. Un tentativo di superare le polemiche quotidiane in Italia perché solo con un approccio comune ci potrà essere un barlume di soluzione.
Foto in evidenza di Formiche
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